Sicilia infelix: incubi e omicidi sulla giostra del potere

Equivoci atroci, scherzi patibolari, visioni angosciose di un futuro nerissimo. Inviti da parte di amici o parenti che si rivelano trappole mortali, dimostrazioni omicide di forza e come a voler dimostrare che non c’è realtà senza pietà, che la concretezza del mondo è solo un portato del nostro ottimismo, un universale precipitare verso la dissoluzione e il nulla.
Sarà difficile evitare i superlativi per la raccolta di racconti con la quale Antonio Bassarelli rompe un silenzio più che trentennale: sono semplicemente straordinari. Nel 1972 l’autore aveva pubblicato un romanzo edito da Rizzoli, La trovatura, che gli valse la stima di Carlo Bo. Dopo, è dato supporre sia stato assorbito dalla professione di magistrato svolta lontano dalla nativa Messina, a Reggio Emilia. Se abbiamo accennato alle origini siciliane è per più di un motivo. Perché Di Elena e dell’ombra (Diabasis, pagg. 118, euro 10) vede convergere il meglio della scuola siciliana, da Pirandello a Sciascia a Bufalino, semmai addolcita dall’intervento del Borges poeta cui forse rinviano alcuni folgoranti costrutti: «Le sozzure di mosca sul celeste del mare geografico», «Il barone che confuse la polvere». E perché della sicilianità, di una corda della sicilianità, tali racconti o meglio apologhi vogliono essere l’emblema.
Sia l’apparente varietà di temi, sia la stessa monotonia dell’intreccio (si tratta sempre di cronache di morti annunciate, anche se spesso a morire non è la carne, ma l’anima, la speranza, l’illusione o la fede) sono attratte da un solo fuoco, un punto di fuga che non è la morte, come suggerisce, peraltro non senza ragioni, la quarta di copertina. Risultato di un processo di distillazione o frutto dell’elaborazione di una fascinazione originaria, i diciotto racconti aggiungono piuttosto un capitolo importante a quell’atlante e storia naturale del potere la cui redazione è stata intrapresa dagli scrittori siciliani. Mai come in queste pagine appare chiaro che il potere è una divinità bicipite, fatta di potenza e di prestigio. Potenza e prestigio sono come la spada e lo scudo, con essi si giostra. Il prestigio dirada la frequenza degli attacchi, permettendo di dilatare lo spazio tra una dimostrazione di potenza e la successiva. La potenza a sua volta accresce il prestigio. È un gioco musicale, quasi un concerto per violino e pianoforte se è vero che il pianoforte, come pretendeva Bartók, è uno strumento a percussione.
Abbiamo detto musicale, ma bando ai fraintendimenti: un simile giostrare taglia fuori l’amore e tutti gli altri sentimenti sociali. Non c’è un solo passo nel volume dal quale emerga un gesto univoco di benevolenza. Senza contare che musicali, musicalissimi sono anche gli incubi. Anzi in Bassarelli le figure dell’incubo ci sono tutte. E c’è naturalmente anche la morte, che appare quando il meccanismo del potere si inceppa, o quando il nemico, materializzatosi da un’ostilità diffusa che non lascia indenni nemmeno i più stretti fra i propri simili, vuole imporre il suo giogo.

Questa Sicilia è terribile, un posto dove non si vorrebbe mai mettere piede. E peggio per noi se ci trovassimo a sospettare che a differenza di quella di Sciascia, che si voleva immagine ed intimo spauracchio dell’Italia, la Sicilia di Bassarelli lo sia della condizione umana.

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