La sinistra diventa maccartista e il buonismo va sotto un trans

TEMPI Ma nessuno dice che la vera barbarie è la cancellazione della sfera privata

La sinistra diventa maccartista e il buonismo va sotto un trans

di Vittorio Macioce
Quello che c’è dietro la tv non conta. È un’Italia a tavolino, dove lo scandalo non scandalizza più nessuno. Non ci saranno crociate per il «Grande Fratello 10», dove c’è una donna che si sente un uomo. Non ci sono state neppure per Silvia Burgio, nata maschio a Gallarate, donna perfetta quando eravamo ancora fermi al numero 8. Non è questo il problema. Lo spettatore non ha pregiudizi. Accetta quasi tutto. Uomini, mezzi uomini, donne, lesbiche, gay, indecisi, prostitute, masochisti, casti, illibati, quelli con il cilicio e quelli con la frusta, maschiacci e transgender. La questione è fuori, oltre la casa. Lo spettatore non avrà pregiudizi, ma il cittadino non perdona. Ed è pronto a lapidare. In questo clima i «commissari della salute pubblica» ci sguazzano. Un politico si è dimesso soprattutto per immoralità sessuale. Il resto, in gran parte, sono chiacchiere.
Non c’è nulla da fare: l’aria che si respira è bacchettona. Questa storia di Marrazzo puzza tanto di ipocrisia. Tutti si affrettano a dire che il governatore del Lazio deve vergognarsi perché ha mentito, tergiversato, non si è ribellato al ricatto, forse ha pagato due, tre, quattro pubblici ufficiali, ed è andato a caccia del quarto sesso con l’auto blu. Tutto questo è vero, ma a nessuno interessa davvero. Non prendiamoci in giro. Lo scandalo Marrazzo è tutto in cinque lettere: trans. È di questo che si parla, si sorride, si fanno battute, si pontifica. È questo che imbarazza la sinistra e fa schiumare di rabbia il partito dei censori, dei catoni, dei moralisti, di quelli con il ditino alzato. Marrazzo ha reso meno robusta l’arma etico-scandalistica contro Berlusconi.
Qualcosa è cambiato a sinistra. L’orgoglio non c’è più. Silenzio. I trans vanno bene quando sono simboli, icone, immagini lontane e un po’ virtuali. Vanno bene al Grande Fratello, all’Isola dei famosi, nei reality, nelle fiction, nel carnevale del Gay Pride, in tutto ciò che è oltre lo specchio, perfino in Parlamento, con la polemica sui bagni a due dimensioni, qui le femmine, là i maschietti, e gli altri in bilico, indecisi. Il problema è quando il trans è carne, sudore, condominio sulla Cassia, amore a ore, passionaccia da cinquemila euro. Quando il trans fa scandalo c’è sempre qualcuno che si considera senza peccato e butta la prima pietra. È questo il guaio di chi predica tutti i giorni etica e morale, gratta gratta e trovi il solito bacchettone. Sono quelli che con questa storia che il privato non esiste - ma è pubblico, è piazza, è politica, è trasparenza, è pettegolezzo e foto scattate dentro le case, oltre i muri di recinzione, al di qua del confine - ti spediscono alla gogna come peccatore.
C’è un aspetto nello scandalo Marrazzo di cui pochi parlano. Ma è normale che quattro carabinieri facciano irruzione in una casa privata? È normale che lo Stato butti giù la porta e si presenti in camera da letto? Gli anglosassoni un tempo dicevano my house, my castle. La mia casa è il mio castello. In Italia la casa è nuda. È questa la famosa questione morale di cui tanto si parla? È questo mettere in piazza l’intimità. E si scivola in una sorta di maccartismo sessuale.
È una morbosità da confessionale. Quante volte figliolo? E con chi, come, quando, perché. I profeti della trasparenza, il privato è pubblico, stanno ritrascinando il sesso in un territorio tabù. È una nuova forma di comunismo. Non si abolisce la proprietà privata, nel nome della morale si cancella direttamente il privato. È roba da fantascienza, da romanzi antiutopici. È la repubblica dei probiviri di Salem.
È un incubo. Jeremy Bentham questa follia l’aveva disegnata nel 1791. Mise su carta un carcere dove un guardiano osservava i prigionieri in ogni momento. Nessuno poteva sapere se era spiato oppure no. Lo chiamò Panopticon. La figura del controllo totale, dove le persone sono soggette allo sguardo minuzioso e indiscreto dell’autorità. Niente privato. È quello che temeva Michel Foucault, quando 34 anni fa scrisse Sorvegliare e punire. Il Panopticon è la nostra deriva. È la forma di punizione moderna. È un carcere senza catene. È questo vivere sotto lo sguardo intermittente di un guardiano. Tu non sai quando ti sta spiando, ma sai che lo farà, ti beccherà, ti sputtanerà. Qualcuno dirà che questa è una società perfetta. È l’occhio di un Dio laico che scruta pensieri, parole, opere e omissioni. È la vittoria di chi predica il «dovere della verità».

È la filosofia del «codice di trasparenza» per i politici e i personaggi pubblici. Ma dove sta il confine? Fino a che punto la vita di un individuo deve essere nuda? Il «dovere della verità» è una filosofia liberticida. Qualche volta le bugie sono un diritto che va difeso.

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