"Il dolore, il ricovero l'operazione e il coma": il ritorno alla vita del professore Vittorio Emanuele Parsi

In un'intervista al Corriere il professor Vittorio Emanuele Parsi ha raccontato l'importante intervento chirurgico subito per la dissezione dell'aorta. L'amore per le figlie e la compagna, ma anche il nuovo impegno politico dopo essere tornato nuovamente alla vita

"Il dolore, il ricovero l'operazione e il coma": il ritorno alla vita del professore Vittorio Emanuele Parsi

"Ricordo tutto il periodo in coma. Uno Stige, un fiume melmoso, nero, che stava sotto i miei piedi, come Ulisse e Achille. Ricordo di avere visto le radici degli alberi da sotto, come fossi in un crepaccio. E di tanto in tanto, voci lontane", questo il racconto di Emanuele Parsi, il professore universitario 62enne ricoverato d’urgenza in terapia intensiva a Treviso e operato al cuore in seguito a un malore mentre si trovava Cortina d’Ampezzo per presentare il suo ultimo libro Madre Patria.

Tra i massimi esperti italiani di Relazioni Internazionali, autore di decine di libri, saggi e pubblicazioni, Parsi è spesso ospite di trasmissioni televisive di attualità che hanno reso famoso e riconoscibile al grande pubblico. Intervistato oggi dal Corriere, ha ripercorso quei giorni in cui è stato tra la vita e la morte ed è salvo grazie alla bravura di alcuni imedici intervenuti per una disserzione dell'aorta, una patologia che lascia poche speranze.

Il ricordo del professore

"Ho sentito tre colpi sul diaframma, come fossi in apnea. Da sommozzatore sai che quando li senti devi riemergere, è l’ultimo avvertimento. Ho capito che c’era qualcosa di grave. Finita la conferenza, ho chiesto che si chiamasse un medico. È arrivata l’ambulanza, siamo andati all’ospedale Codivilla", ricorda il professore.

La struttura risulta però poco attrezzata e i primi esami sono negativi tanto da far quasi decidere il professore di lasciare l'ospedale: "Avevo un aereo il giorno dopo: sarei morto. Invece sono stato portato a Belluno in ambulanza, e lì ho avuto la fortuna di trovare il primario di Cardiologia, Alessandro de Leo, che ha subito capito che la mia era una dissezione dell’aorta. Mi disse due cose che ricorderò sempre, la prima che dovevo fare un'operazione salvavita, la seconda che poteva andare male".

Le uniche due telefonate e poi l'intervento

In quella situazione estrema Parsi ha il tempo solo di fare due telefonate, alla figlia maggiore e alla compagna Tiziana Panella, giornalista di La7, con cui è insieme da due anni. "Cercavo di rassicurarla, mentre lei cercava di rassicurare me. Poi con l'elicottero mi hanno portato a Treviso, dove ho trovato chirurghi di eccellenza, come Francesco Battaglia, Antonio Pantaleo e Giuseppe Minniti".

L'operazione è stata molto complessa, la dissezione aortica consiste nella lacerazione di una parete interna dell'aorta e nella formazione di un falso passaggio per il sangue. Detta anche dissecazione aortica, è una patologia vascolare che coinvolge l'aorta e che può rivelarsi particolarmente grave. È in tutto e per tutto un’emergenza medica, da trattare il più rapidamente possibilecon immediato ricovero in terapia intensiva: la prognosi è infatti sfavorevole nel 75% dei pazienti che non ricevono trattamento nelle prime 2 settimane dalla comparsa dei primi sintomi.

L’operazione è notevolmente complessa, visto che chi interviene si trova di fronte a vasi sanguigni molto fragili e sottili. La procedura comporta l’asportazione dell’area aortica dissecata, la chiusura del falso lume e la sostituzione della parte rimossa con una protesi sintetica. La durata dell’intervento può andare dalle 3 fino alle 12 ore e il paziente deve restare in ospedale per almeno una settimana.

Il ricordo del coma

Di quel particolare momento di coma, il professore ha un ricordo vivido: "Un fiume melmoso, nero, che stava sotto i miei piedi, come Ulisse e Achille. Ricordo di avere visto le radici degli alberi da sotto, come fossi in un crepaccio. E di tanto in tanto, voci lontane. Non sentivo dolore, ma stanchezza fisica e un'immensa spossatezza. A un certo punto mi sono chiesto se fossi morto. Ho pensato: non ce la faccio, forse basta lasciarsi andare e tutto passerà. La morte non potrà essere tanto peggio".

Poi però il pensiero va alle figlie e alla compagna Tiziana: "Ho visto il suo volto, volevo rivederlo. È chiaro che non volevo lasciare sole neanche le mie figlie, ma in qualche modo prima o poi i figli li lascerai. Ho parlato con mia madre e con mio padre, che non ci sono più: 'Datemi una mano voi, non è il momento di raggiungervi'. È stato allora che ho materializzato nella mente quegli omini di gomma che vendevano nei ruggenti anni ’70 e ’80, che si lanciavano sul vetro e si appiccicavano e salivano e scendevano... Ecco, ho visto me stesso un po’ come uno di quegli omini, a risalire l’immenso crepaccio, con tutta la fatica del mondo. E quando poi sono arrivato in cima ho aperto gli occhi. E ho visto Tiziana che era lì con me".

Godersi la vita

Un'esperienza di premorte quella che ha avuto il professore in cui però a differenza di molti altri racconti simili non ha visto nessun tipo di luce particolare: "La cosa che mi ha sorpreso è che non provavo paura. Mi ricordo di aver pensato se questa volta la sfango, devo fare più attenzione". Il concetto che esprime è quello di godersi più la vita: "Sono sempre stato molto frenetico, al limite del parossismo, ero abituato che il tempo esiste per essere occupato, che le idee ti vengono in treno, in aereo, parlando con la gente. I momenti felici, invece, vanno centellinati".

Ma non soltanto, dopo il risveglio traumatico dal coma, per lui essere stubato è stato come rinascere: "Ricordo quando l’infermiere mi ha lavato la prima volta, con una spugna. Mi sembrava come nell’Iliade, quando lavano il corpo del morto. Mi ha confortato nell’idea che gli esseri umani sono naturalmente empatici. In fondo è quello che fa la democrazia, un sistema gentile: aiuta a esercitare l’empatia. Ora non sarò quello di prima ma voglio andare avanti a fare il mio mestiere, scrivere, riflettere, impegnarmi in quella che chiamiamo la terza missione".

Il dibattito politico

"Ci sono delle battaglie in cui credo. Oggi viviamo una sindrome da anni ’30. Di fronte a un nemico alle porte che è già in guerra con noi e la prospettiva che torni Trump, isolazionista e gaglioffo, non sembriamo in grado di trarre le logiche conseguenze.

Ovvero che abbiamo dieci mesi di tempo per metterci in condizione di esercitare se necessario da soli la deterrenza verso Putin, che ha mostrato una spietatezza e una crudeltà senza fine. Per altro, vai a dire a uno che vive sotto il suo tallone che l’Italia è una colonia americana; dillo a un ucraino, ti dirà che cos’è una colonia russa. Non posso astenermi" conclude il professore.

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