Direttore Feltri, sono un padre afflitto dalla permanenza in casa di due figli adulti di 37 e 42 anni e mi ritrovo perfettamente nella situazione di quella signora di 75 anni che, a Pavia, si è rivolta al tribunale per mandare via dalla sua abitazione i figli quarantenni che in casa non soltanto non contribuivano alle spese ma neppure collaboravano, creando semmai disordine e rientrando in piena notte, come se fossero ragazzini. La donna ha ottenuto dal giudice il riconoscimento del diritto a vedere sloggiare i suoi bamboccioni e quindi a vivere una esistenza serena, senza provare la frustrazione quotidiana che sorge dal condividere la dimora con chi, soltanto perché lo hai messo al mondo, nonostante sia diventato adulto, crede che tutto gli sia dovuto, pretendendo che tu te ne occupi a vita. Ho tentato di spingere i miei figli all'autonomia, all'indipendenza, invece mi sembrano gravemente rammolliti. Mi chiedo ora dove io abbia sbagliato dal momento che campano attaccati alla gonnella di mia moglie, ovvero della loro madre, e non spiccano mai il volo, rimanendo morbosamente avvinghiati al nido. Quando diavolo si decideranno a crescere?
Francesco Nava
Caro Francesco,
ci tocca riconoscere che se i figli adulti continuano a coabitare con babbo e mamma non è soltanto per motivi economici. Nel caso che lei ha citato, ad esempio, ossia quello della signora di Pavia, i soldi non mancavano, i signori lavorano e sono benestanti. Non conosco la condizione finanziaria dei suoi rampolli, ma dai suoi discorsi immagino che essi abbiano la possibilità di traslocare, lasciando la casa in cui sono nati e cresciuti giungendo all'età adulta. Spesso diamo la colpa della permanenza nella casa dei genitori dei giovani adulti italiani alla assenza di sufficienti risorse per potere sostentarsi da soli, pagando un affitto o un mutuo e riuscendo a mettere insieme il pranzo con la cena. Vittimizziamo, insomma, i figli e li giustifichiamo, puntando il dito verso un nemico astratto: la crisi, i tempi difficili, la mancanza di lavoro, il caro-affitti.
Queste però sono sovente soltanto scuse. Il fattore economico non è che un alibi, che ci serve per negare una realtà che pure esiste: troppi sono i ragazzi che rimandano questo fondamentale passaggio della vita perché staccarsi dai genitori significa crescere a tutti gli effetti, assumersi piena responsabilità di se stessi, delle proprie azioni, delle proprie spese, di tutto ciò che ci riguarda. Quindi si procrastina tale uscita di scena per timore di divenire adulti, così si permane in uno stato, che è uno stallo, di perenne gioventù, che talvolta corrisponde persino ad uno stadio infantile, quello in cui la mamma ti chiede cosa vuoi mangiare per cena, ti fa trovare i vestiti lavati e stirati sul letto, si preoccupa della spesa, ti tratta da ragazzino bisognoso di cure e attenzioni. La patologia in questione, proprio per questo aspetto, non riguarda solamente i figli ma anche i genitori, che spesso, pur non ammettendolo, si sentono rassicurati dal fatto di avere il figlio in casa.
Nell'uno e nell'altro caso c'è sempre dietro la paura di crescere o di invecchiare, di affrontare la vita, il cambiamento che questa comporta, di ritrovarsi soli, di trasformarsi, di perdere il controllo e le sicurezze, di andare avanti. Tuttavia, ciò che dovrebbe davvero terrorizzarci è restare fermi o tornare indietro, regredendo ad uno stadio che dovrebbe essere superato da decenni.
Padre e madre dovrebbero incoraggiare i figli, fin da piccoli, alla piena autonomia. Questo non implica il buttarli via di casa non appena compiono diciotto anni, ma fornire loro quella impostazione mentale che li induce a desiderare di acquisire il prima possibile indipendenza, dunque libertà, poiché questa è l'unica via per la felicità e la consapevolezza.
C'è qualcosa nella nostra maniera di educare che non funziona. E smettiamola di fornire sempre comodi attenuanti.
Per il suo bene ma anche
per il loro, ponga ai suoi figli un ultimatum, stenda una lista dei loro doveri in casa. Se campano lì, devono rendersi utili. Li metta sotto, come si usa dire. Vedrà che verrà loro voglia di fare le valigie, finalmente.
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