I giorni di malattia del settore pubblico raccontano il Paese

I giorni di malattia del settore pubblico raccontano il Paese
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Il Tribunale Amministrativo del Lazio (Tar) ha sentenziato che i lavoratori pubblici, quando assenti per malattia, non debbano essere discriminati rispetto a quelli del settore privato sulle fasce orarie di reperibilità, in cui devono stare in casa per ricevere un’eventuale visita medica fiscale – ossia un accertamento che egli stia effettivamente poco bene e dunque nell’impossibilità di recarsi al lavoro. I lavoratori del privato hanno l’obbligo nelle ore 10-12 e 17-19, domenica e festivi inclusi, mentre quelli pubblici dovevano stare in casa più a lungo, dalle 9 alle 13 e poi dalle 15 alle 18. In pratica, malati o presunti tali, giusto a pranzo o a cena potevano uscire. Ai milioni di lavoratori indipendenti diciamo subito che queste righe non sono per loro, loro che vanno a lavorare anche con qualche linea di febbre o con acciacchi che non costringano davvero a letto.

Tornando ai dipendenti, è corretto che siano trattati tutti alla stessa maniera, ci mancherebbe pure, e in caso di disparità sempre meglio favorire quelli pubblici: altrimenti, perché tanti dovrebbero fare ogni sforzo per riuscire a lavorare perla Pubblica Amministrazione? Solo, non si capisce come mai non abbiano pensato di livellare in senso opposto, ossia allungando le fasce di reperibilità dei dipendenti privati. La malattia è una causa inabilitante, che impedisce di muoversi per raggiungere il posto di lavoro. Quando ricorre, può essere accettabile che sia di grado lieve, per cui uno possa scendere a fare due passi col cane o andare in farmacia, ma non guidare o prendere mezzi pubblici e spostarsi di chilometri. Ma quanto deve camminare un cane? O quanto distante può trovarsi una farmacia? È appena il caso di ricordare che il lavoro non è un inciampo della persona, ma quell’attività con cui si produce un valore aggiunto, unico elemento che giustifica il salario. Se non produci valore, non guadagni. Nonostante la nuova o meno nuova corrente di pensiero secondo cui una certa retribuzione sarebbe dovuta a prescindere, è ancora questo il fondamento dell’economia sociale: lavori, produci, guadagni.

Dalle statistiche dell’Inps emerge che i malanni, a differenza della fortuna, ci vedono bene e si accaniscono sui dipendenti pubblici. Ogni lavoratore pubblico nel 2022 ha prodotto in media 0,8 certificati medici contro 0,6 dei privati, pari a un terzo in più. Evidentemente, il lavoro pubblico è molto più usurante e/o i lavoratori pubblici sono molto più cagionevoli e malaticci, tanto che ogni lavoratore pubblico sta in malattia 4,2 giorni contro i 3,3 dei privati: il 27% in più. Però sono malattie brevi, visto che ogni certificato prevede che il lavoratore pubblico stia a casa per 5,2 giorni contro i 5.6 dei privati. È come se la statistica fosse composta da più certificati da un giorno solo, tipo quando uno sta male solo venerdì o lunedì e poi guarisce.

Sì, non resta che prenderla a ridere, per non offendere chi lavora sul serio e quando sta

male si rende comunque disponibile allo smart working. Poi ci lamentiamo che produttività e salari in Italia siano fermi da 30 anni. Ma se uno sta in malattia e può andare a pranzo e cena fuori, di cosa ci dobbiamo stupire?

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