"È interessato più al malato o alla malattia?". "Decisamente al malato". Così Franco Basaglia rispondeva alla domanda posta da Sergio Zavoli nel lontano 1968 in occasione del documentario Rai I giardini di Abele. In questa sua famosa dichiarazione è racchiuso tutto il pensiero dello psichiatra: colui che rivoluzionò l’intera realtà dei manicomi fino ad avviarli alla totale dismissione. Una chiusura sancita dalla legge 180, che oggi compie 45 anni. Ancora adesso sul muro di un vecchio edificio diroccato all'interno dell'ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, a Trieste, campeggia una scritta rossa a caratteri cubitali: "La libertà è rivoluzionaria". Poco distante, un altro edificio giallo in ottimo stato presenta una scritta analoga: "La libertà è terapeutica". I due eloquenti murales sono entrambi opera dell'artista Ugo Guarino, che negli anni ’70 aveva preso parte alla lotta dello psichiatra Basaglia per la riabilitazione dei malati mentali.
L'atto di ribellione di Franco Basaglia
Franco Basaglia nasce a Venezia l'11 marzo 1924 in una famiglia agiata. Iscrittosi alla facoltà di medicina e chirurgia dell'università di Padova, nel dicembre del 1944 viene arrestato per attività antifascista e rimase in carcere fino alla fine della guerra. Questa esperienza accentuò la propria repulsione per la reclusione e le ingiustizie. Una volta laureato e avendo vinto il concorso per l'ospedale psichiatrico di Gorizia e vi si trasferì prontamente con la famiglia a seguito. Nel primo periodo della sua direzione l'ispettore capo Michele Pecorari gli porta, come di consuetudine, il registro delle contenzioni - ovvero legare al letto per mezzo di cinghie di cuoio i degenti particolarmente agitati - su cui il direttore avrebbe dovuto apporre una firma. Basaglia prende la penna che Pecorari gli porgeva, rimane in sospeso per qualche attimo e poi dichiarò: "E mi no firmo". Questo atto di ribellione formale lascia stupefatti i presenti e indica la via che il nuovo direttore intendeva praticare: slegare i "matti".
È una reazione a catena. Il medico viene chiamato a dirigere l'ospedale psichiatrico di Trieste che sorgeva sul colle di San Giovanni. All'epoca i manicomi erano non-luoghi isolati da sbarre e filo spinato, dove i malati erano controllati a vista da robusti infermieri pronti ad intervenire con metodi violenti. Basaglia decide invece di abolire le contenzioni fisiche e inaugura un nuovo rapporto col paziente basato sull'ascolto, sul sostegno morale. I pazienti vengono fatti parlare e ascoltati. Istituisce assemblee plenarie e di reparto. La parola e l'ascolto ricoprono ruoli fondamentali. Bisogna però abituare gli assistiti a parlare, poiché ne avevano perso l'abitudine. In breve tempo il modello basagliano si estende in altre realtà italiane.
L'approvazione della legge
Nel 1973 nasce Psichiatria Democratica, un movimento anti-istituzionale di confronto fra le diverse realtà di cura alternativa. Vi si avvicinano non solo i medici, ma anche infermieri, politici, sindacalisti, studenti, gente comune. Intanto nei padiglioni del parco si organizzano corsi creativi di pittura e scultura, di scrittura e teatro per gli assistiti. I "matti" vengono fatti uscire, partecipare alle iniziative della quotidianità cittadina o a brevi villeggiature fuori porta. Si cerca di normalizzare la loro esistenza. Ovviamente non sempre è facile: c'è paura sia da parte dei "malati" sia dei "sani", ma la direzione è comunque quella giusta, e in breve il parco di San Giovanni si apre alla città: si organizzano feste, concerti, attività culturali. Un giorno, un corteo con 600 persone fra utenti e operatori si snoda dal manicomio a piazza Unità, il salotto buono della città, affermando così simbolicamente e con forza la propria esistenza.
Il 13 maggio 1978 è approvata la Legge 180, scritta e promossa dal deputato Dc e psichiatra Bruno Orsini e meglio nota come legge Basaglia. Da questo momento, i malati acquisiscono una nuova dignità: la persona otterrà una nuova centralità e verrà presa in carico basandosi sull'accoglienza e la collaborazione attiva e non sulla reclusione e l'annientamento. La prima reazione dei cittadini è tuttavia ostile. Nascono Italia associazioni di familiari che chiedono l'abolizione della legge, sentendosi abbandonati con i familiari malati in casa o minacciati avendo come vicini di casa un appartamento dei "matti" sullo stesso pianerottolo.
Basaglia viene sottoposto a diversi processi per omicidio, di cui viene sistematicamente accusato ogni volta che un ex internato si macchiava di tale crimine. Sarà sempre assolto. Muore a Roma per un tumore cerebrale il 29 agosto del 1980. Franco Rotelli, suo braccio destro nella battaglia per la chiusura dei manicomi, proseguirà per i decenni successivi: diventa il direttore dell'Ospedale Psichiatrico di Trieste, contribuendo alla sua trasformazione in favore della realizzazione di servizi sanitari extraospedalieri.
Pochi mesi prima di morire, Basaglia lanciò questo suo monito: "Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c'è un altro modo di affrontare la questione. Anche senza la costrizione. Non credo che essere riusciti a condurre una azione come la nostra sia una vittoria definitiva. L'importante è un'altra cosa, è sapere ciò che si può fare".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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