Da un solo canale tv al consumismo sfrenato Il «boom» col turbante

da Nuova Dehli

Q uando le riforme economiche furono lanciate vent’anni fa, in India per installare una linea telefonica ci voleva un anno, c’era solo un canale tv e era impossibile comprare una Coca-cola. La finanziaria d’emergenza promulgata nel luglio 1991 fu una svolta radicale per l’economia, che permise all’India di accogliere gli investimenti stranieri e la concorrenza nel commercio. Il risultato è la moderna società consumista che si vede oggi nelle sue città e metropoli in rapida espansione.
Come si sa, nessun regime politico cambia la vita degli uomini quanto le grandi innovazioni tecnologiche. Nei decenni prima del 1991, i marchi internazionali presenti sul mercato indiano erano scarsi, dato che il governo insisteva nel mantenere lo statalismo autarchico avviato ai tempi di Gandhi e di Nehru. Alla lunga il paese arrivò al limite del collasso a causa della crescita stagnante dovuta alla «licence raj» - l’economia pianificata in cui il governo controllava ogni aspetto di qualsiasi business dalla manodopera alla produzione. «Tutte le merci e i servizi erano talmente limitati», dice Bhasin, padre di due figlie di 23 e 18 anni, vestite all’ultima moda. «La gente pregava i parenti che facevano un viaggio all’estero di tornare con qualche paio di jeans Levi's e un po’ di gadget elettronici. Avevo vissuto in America negli anni ’70 e sapevo com’era il mondo esterno. Da noi il 95% di ciò che c’era nei negozi era indiano». Bhasin racconta poi che i pochi indiani in grado di organizzarsi per fare dei viaggi all’estero dovevano fare richiesta per una quantità giornaliera di rupie da spendere in valuta straniera. «Ora facciamo le vacanze in Malesia o in Tailandia senza preoccupazioni. Credo che nel ’91 il governo finalmente capì che doveva rimettere in moto l’India». Le riforme abrogarono le varie restrizioni sugli investimenti stranieri diretti e aprirono la strada a privatizzazioni, riforma delle tasse e deregulation.
Per Minoo, 46 anni, moglie di un garagista di Nuova Dheli, nell’India degli anni ’80 era già forte l’attitudine consumista che domina oggi le città, solo che non poteva esprimersi: «Facevo da me i vestiti per i bambini perché ciò che era in vendita era di qualità pessima. Non molti giocattoli erano disponibili. Oggi la gente compra roba proveniente da ogni parte del mondo. Ora è tutto così divero!».
Certe icone dell’epoca autarchica sono sopravvissute, come la Thums Up, una bevanda gassata apparsa sul mercato nel 1977 e che andò alla grande in assenza della Coca-cola e della Pepsi. Acquistata dalla Coca-Cola Company nel 1993 quando i mercati si stavano aprendo, la Thums Up è rimasta una presenza fissa in ogni bancarella di strada. Un altro simbolo del passato rimasto “a galla” è l’auto Ambassador: «Bevevamo Thums Up e c’erano solo alcuni tipi di auto, come l'Ambassador, che ancora si vede in giro», ricorda Naresh Kambiri, 78 anni, pensionato che è stato proprietario di una bancarella di libri a Connaught Place, Nuova Delhi.

E al contrario della Cina, dove la modernizzazione ha spazzato via ogni residuo identitario, l’originalità della cultura indiana di oggi testimonia di tradizioni solide e profonde, fermamente intenzionate a convivere con le nuove mode consumiste occidentali.

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