Somalia, a Mogadiscio nessuno consegna le armi

Somalia, a Mogadiscio nessuno consegna le armi

Mogadiscio - Il governo somalo ha organizzato punti di raccolta per le armi a Mogadiscio nel tentativo di rendere meno pericolosa una delle città più violente del mondo, dopo averla liberata dal movimento islamico che l'ha controllata per sei mesi.
    Il Kenya intanto ha inviato soldati e polizia a guardia del lungo e permeabile confine con la parte della Somalia in cui si sono rifugiati i combattenti fedeli al Concilio delle corti islamiche (Sicc) in seguito a due settimane di scontri con le truppe del governo somalo di transizione e le truppe etiopi.
    Il primo ministro Ali Mohamed Gedi ha chiesto agli abitanti di Mogadiscio di consegnare le proprie armi entro giovedì o saranno disarmati con la forza dalle truppe filogovernative che, alleate con le forze etiopi, hanno cacciato gli islamisti dalla capitale. Gedi ha anche offerto un'amnistia ai combattenti islamici.
    Le Corti islamiche sono riuscite a garantire la sicurezza e la pace a Mogadiscio durante il periodo in cui sono state al potere e una delle priorità del governo ad interim e di riuscire a fare altrettanto, in modo da poter tornare ad installarsi nella capitale. Il compito è reso difficile dal ritorno dei signori della guerra, che potrebbero cercare di ristabilire la propria autorità sui feudi sui quali comandavano prima dell'avvento delle Corti islamiche. Il ritorno dei capi dei diversi clan, quindi, sta ostacolando il tentativo del governo di affermarsi come la sola autorità della città. Nonostante esista un embargo dell'Onu per la vendita e l'esportazione di armi verso la Somalia, queste si sono moltiplicate negli ultimi anni, rendendo la capitale affacciata sull'oceano indiano una delle città più violente ed infestate di armi di tutto il mondo. La Somalia è caduta in preda al caos fin dalla cacciata del dittatore Mohamed Siad Barre nel 1991.

Tentativi di disarmo Collaboratori di Gedi dicono che la gente ha già cominciato a consegnare delle armi al governo ad interim, creato nel 2004 come quattordicesimo tentativo in 14 anni di stabilire un'autorità centrale nel Corno d'Africa. Parlando da un rifugio, il portavoce del Sicc, Abdirahim Ali Mudey, ha però deriso il tentativo di disarmo del governo. "I somali non consegneranno volontariamente le proprie armi. Alcuni clan resisteranno perché
non esiste fiducia fra i clan", ha detto Mudey parlando al telefono da una località che non ha voluto rivelare. Ed è così pare che nessuno stia consegnando volontariamente le armi - a differenza di quanto dichiarato dai governativi - Secondo l'inviato della tv araba al Jazeera, poco prima di lasciare la capitale, le Corti islamiche hanno aperto i depositi delle armi in modo da consentire ai civili e alle bande armate locali di rifornirsi per creare una condizione di instabilità in città.

Frontiera kenyana blindata Dopo essere fuggiti anche dall'ultima roccaforte di Chisimaio, cittadina costiera nel sud del paese, i combattenti islamici si sono spostati ancora più a sud, verso il confine con il Kenya, che le autorità di Nairobi stanno cercando di sigillare. "Stiamo dicendo loro di tornare indietro per aiutare a ricostruire il paese. Non permetteremo che si crei un flusso di rifugiati", ha detto a Reuters Antony Kibuchi, capo della polizia kenyota delle province del nord est. Ma gli esperti sostengono che non sarà difficile per i combattenti islamici passare il confine, data l'estensione della frontiera, la natura desertica del territorio e il fatto che la zona è abitata da popolazioni di etnia somala.

L'Etiopia: presto il ritiro Le truppe etiopiche che hanno permesso all'autorità legittima somala di riprendere il controllo del Paese e cacciato le Corti islamiche, potrebbero ritirarsi entro due settimane. Lo ha detto il primo ministro etiopico, Meles Zenawi, al parlamento di Addis Abeba. "Ce ne andremo al più presto, forse entro due
settimane, dipende da quanto tempo ci vorrà per ottenere la
stabilità".

Le parole del capo del governo etiopico contraddicono quelle del suo collega somalo, Mohamed Gedi, che non aveva posto limiti nè scadenze, avvertendo che le truppe di Addis Abeba potrebbero restare nel Paese per tutto il tempo in cui sarà necessaria la loro presenza.

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