Quanto sa essere beffarda la vita: a volte la felicità di oggi ha l'effetto collaterale di far bruciare ancor di più le ferite di ieri. Così la gioia immensa per la liberazione di Cecilia Sala (ri)tinge di attualità una pagina tra le più fosche della nostra storia, che proprio in questi giorni, sabato 11 (ore 20) e domenica 12 (ore 16), va in scena al Gerolamo nel reading «Lo schifo: omicidio non casuale di Ilaria Alpi nella nostra ventunesima regione», di Stefano Massini (musiche di Enrico Fink), con una straordinaria Ottavia Piccolo nei panni di Ilaria. Appena assassinata a Mogadiscio insieme al cineoperatore Miran Hrovatin, la giovane reporter ripesca dalla memoria lampi fugaci del proprio dramma. Era il 20 marzo 1994.
Trentatré anni da compiere e una verità da raccontare.
«Massini scrisse questo reading nel 2010: da allora non ha mai smesso di andare in scena, sia come monologo, sia come spettacolo vero e proprio, con il nome di African Requiem e una brava Isabella Ragonese. Anni fa lo portai alla Camera dei Deputati: è una storia da cui non mi sono mai separata, per me significa molto».
Un titolo forte per una vicenda che dice molto di un periodo storico.
«Un fatto tragico e incredibile, emblematico di un'epoca e di una certa Italia. Il titolo nasconde l'anagramma di Shifco, società di diritto somalo proprietaria di sei imbarcazioni donate dal Governo italiano».
Una brutta storia fatta di traffico di armi e rifiuti tossici.
«Una cooperazione di facciata che nascondeva ben altro. La verità Ilaria l'aveva scoperta, le hanno impedito di raccontarla. Accade ancora, lo abbiamo visto con Cecilia, ma per una storia a lieto fine ce ne sono centinaia con esito diverso: i giornalisti vengono tacitati, alcuni in modo drammatico, altri silente, con minacce e ricatti economici. Sarà che ho sposato un giornalista, il tema mi tocca molto».
È ancora possibile dire la verità?
«Poi rischi di pagarla. Ci sono mestieri importanti per la democrazia che andrebbero tutelati, anche perché la verità, nell'epoca dell'intelligenza artificiale e delle fake news, è sempre più facile da falsificare. Ci possiamo ancora fidare delle foto?»
Poi arrivarono le inchieste, le commissioni e le mezze verità. Che idea si è fatta?
«Che fin dall'inizio hanno intorbidato le acque, con depistaggi, falsi indizi: come la presunta macchina di Ilaria che a un certo punto venne portata in Italia e alla fine, fu accertato, non c'entrava nulla».
Una macchina che si trova al centro di una delle scene più toccanti e, al contempo, ironiche.
«Ilaria ricorda di essersi recata al mercato per contrattare un'auto e due guardie armate. Mentre parlavano, sentì che la prendevano in giro nel dialetto locale. Peccato che capiva tutto per filo e per segno».
Insomma non è vero, come si è detto, che pagò l'inesperienza?
«Macché, sapeva perfettamente dov'era e come muoversi, andava in Somalia da anni, conosceva la lingua, le abitudini, le strade. Come ogni volta quando c'è di mezzo una donna non è mancato chi ha pensato che in fondo se l'è cercata. Hanno detto perfino che era lì in vacanza».
Lei ha un lungo rapporto con la nostra città. Come è cambiata la Milano del teatro?
«Il bello del teatro è che cambia in continuazione, come la società di cui è parte: se tornasse Strehler non rifarebbe le stesse cose. Lo stesso vale per Luca Ronconi, il teatro di ricerca. Però non è vero che non c'è più niente di interessante, anzi. E Milano resta la città più vivace d'Italia».
Nell'epoca dei social il pubblico rimane sempre lo stesso?
«Sono abituata ad essere giudicata per quello che faccio, non per ciò che penso. Recito male, fischiatemi. Ma non chiedetemi di avere i social, un tritacarne continuo che non potrei sopportare».
In marzo sarà all'Elfo con «Matteotti».
«È uno spettacolo, sempre di Massini, in tournée da ottobre. Ci concentriamo sul Matteotti intimo, e sulla moglie Velia. Una donna forte, anch'essa in cerca di una verità».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.