Allo scoccare del Novecento, la fisica cambia pelle. Entra in una nuova era. La rivoluzione è duplice: da una parte la scoperta della relatività, dall'altra la fondazione della meccanica quantistica. La fisica classica e la termodinamica non bastano più. Ancora oggi, il grande sogno proibito è quello di una «teoria del tutto», la theory of everything che unifichi le conoscenze: è stato quello perseguito, fra gli altri, da Stephen Hawking. In questa grande rivoluzione della fisica, se la relatività ha un padre notissimo, Albert Einstein, la meccanica quantistica ne ha più di uno. Ma i suoi «due pilastri» sono il tedesco Max Planck (1858 - 1947) e il danese Niels Bohr (1885 - 1962), come racconta Piero Martin, professore di Fisica all'università di Padova, esperto di fusione termonucleare controllata e autore di vari saggi (fra cui L'era dell'atomo, Le 7 misure del mondo, Storie di errori memorabili): «La meccanica quantistica è un nuovo modo di vedere la materia e l'universo, che diventa fondamentale su scale microscopiche: ci permette di comprendere meglio quello che accade nel cuore della materia. E, come la relatività, anche la meccanica quantistica rivoluziona un corpo di conoscenze e un rapporto con l'universo vecchio di secoli, da Galileo in poi».
Di questa grande rivoluzione, Planck e Bohr sono protagonisti su fronti diversi. «A Planck si deve la prima interpretazione di un fenomeno fisico noto da sempre all'umanità, la radiazione elettromagnetica emessa da un corpo caldo - spiega Martin - questa emissione di luce, infatti, contraddice la fisica classica e, quindi, non trovava una spiegazione. È Planck che ha l'intuizione di non cercare di migliorare la teoria bensì di rivoluzionarla: per la prima volta ammette che questa radiazione elettromagnetica non sia emessa in maniera continua, bensì attraverso quanti, cioè pacchetti discreti, multipli di una certa unità». I quanti sono un modo completamente diverso di pensare l'energia. E non servono solo a risolvere la questione della radiazione termica di corpo nero, spingono la nostra conoscenza molto più in là: «Così Planck getta il seme della meccanica quantistica, elaborando uno dei suoi concetti fondamentali: la realtà microscopica viene rappresentata attraverso elementi discreti, come tesserine di un mosaico del quale, da lontano, non si distinguono i singoli pezzi, ma ce ne si accorge a livello microscopico. Il punto cruciale è proprio il passaggio da una visione macroscopica a una microscopica della fisica». Possiamo anche pensare a una fotografia digitale e ai suoi pixel che, a occhio nudo, ci appaiono come una superficie continua ma, osservati da vicino, si mostrano come elementi separati. Il mondo dell'infinitamente piccolo è anche quello di Niels Bohr: «Il suo contributo più importante riguarda la descrizione del modello atomico - spiega Martin - Non si limita a vederlo come un sistema solare, con il nucleo al centro e gli elettroni che gli ruotano attorno, una visione già introdotta da Ernest Rutherford nel 1911; Bohr ha una intuizione di tipo quantistico, ovvero che l'energia con cui gli elettroni stanno uniti al nucleo non abbia valori casuali, bensì quantizzati, separati in quantità discrete». Insomma anche Bohr, come Planck, per spiegare i fenomeni della fisica a livello microscopico si rivolge a qualcosa di completamente nuovo: «Introduce l'ipotesi quantistica nel mondo che, a quel punto, non è più il continuo di Aristotele: a livello microscopico, la Natura va a salti, a scalini...».
Da queste prime scoperte è passato oltre un secolo, la fisica ha continuato a progredire ma «la meccanica quantistica è un modo di vedere il mondo, una descrizione del mondo microscopico che funziona tutt'oggi e che finora non è stata contraddetta da alcun esperimento» dice Martin. Il quanto è l'elemento costitutivo di questa visione, che descrive l'energia e la materia attraverso elementi «discreti». A fondarla, in modo determinante, sono stati Planck e Bohr, come riconosciuto anche dai Nobel per la Fisica ricevuti, rispettivamente nel 1918 e nel '22; senza dimenticare che anche Einstein vince il Nobel nel 1921 per il suo lavoro sull'«effetto fotoelettrico» nel quale, per spiegare il fenomeno, ipotizza la quantizzazione della luce, introducendo il concetto di fotone, fondamentale per la meccanica quantistica. La quale oggi è alla base delle nostra comprensione dei fenomeni quantistici ma anche di tante tecnologie, come le fotocellule, i termoscanner e i computer quantistici, che promettono una potenza di calcolo enorme. Anche se «quantistico è un termine a volte usato a sproposito, quasi in senso filosofico» nota Martin, mentre la forza di questa rivoluzione consiste nell'essere «uno strumento, molto elaborato e dettagliato» e quella della fisica nel «rimanere attaccata alla realtà e alla sperimentazione, nel restare con i piedi per terra»...
Planck e Bohr sono anche due figure emblematiche della fisica del Novecento anche per il loro legame indissolubile con la sua Storia. Bohr diventa una star della scienza, al punto da surclassare per fama il fratello, calciatore della Nazionale danese: a Copenaghen vanno a trovarlo Enrico Fermi (prima di salpare per gli Stati Uniti) e, soprattutto, Werner Heisenberg, in quello che è un incontro/scontro così potente da diventare materia di letteratura, come nella pièce Copenaghen di Michael Frayn, in cui i due fisici dibattono dell'uso della scienza da parte del nazismo. O in Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi) di Benjamín Labatut dove il giovane Heisenberg, grazie a Bohr, scopre il «nucleo oscuro al centro delle cose»... Heisenberg non lascia mai la Germania di Hitler. Nemmeno Planck, che è una delle personalità scientifiche più importanti del Paese: «Nel '33 va da Hitler e gli suggerisce di non cacciare gli scienziati ebrei dalle università tedesche» ricorda Martin. Il tentativo non ha successo, il Führer preferisce piuttosto rischiare di fare a meno della scienza per qualche anno... Undici anni dopo, nell'ottobre del '44, Planck, ormai ottantaseienne, scrive a Hitler una lettera di suppliche.
Suo figlio Erwin è stato arrestato come complice di Von Stauffenberg nell'attentato (fallito) alla Tana del Lupo e l'anziano servitore della scienza tedesca, che ha già perso tre figli su cinque, lo implora di risparmiargli la vita. Anche questa volta, inutilmente.
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