Kiev - Umiliati dinanzi ai più bravi e ai più forti. Alle loro spalle un popolo di tifosi che non si ferma neanche di fronte alla crisi economica: in trentamila ieri sera a Kiev. Gli spagnoli restano i più forti e i più bravi, allora. Non è una sorpresa, semmai una conferma che sconfina nella leggenda perché a nessuno è riuscito lo strepitoso triplete, due europei e un mondiale nel volgere frenetico di quattro anni dominati in lungo e in largo. Adesso sono al pari del Brasile di Pelè nei libri di storia calcistica.
Nel calcio e nello sport può capitare di incontrarli e di non riuscire nell’impresa epica di batterli o di fermarli, come accadde all’alba di questo torneo a Danzica, con quell’1 a 1. Comandano dunque ancora la Spagna e il suo calcio masticato, ritmato che sa mettere al bando muscoli e rigore tattico per esaltare invece il palleggio, gli incroci virtuosi e la capacità di fare gol pur senza schierare un centravanti di ruolo. Sono i maestri di questo calcio nato nella cantera di Barcellona e trasferito in nazionale da Vincente Del Bosque con un giusto dosaggio di Real Madrid e Barça, i grandi rivali: gli azzurri si considerano solo dei promettenti allievi, trascinati da un Ct in gamba. Un inchino e via. Dopo aver denunciato in una sola sera tutti i limiti nascosti dalla ribalta cavalcata azzurra. Limiti legati alla condizione fisica, precaria, all’usura di alcuni esponenti, come Thiago Motta entrato e dopo 4 minuti ferito al muscolo della coscia destra, per non parlare della resa di Chiellini a metà della prima frazione e al ridotto contributo anche dei più dotati, Pirlo in prima linea. Eppure riesce difficile togliere all’Italia di Prandelli l’onorevole partecipazione a questa finale che ha il sapore di una promozione e dell’arrivo in un club molto speciale (quelli che giocano al calcio) e quello amarissimo di una resa prima fisica, quindi tecnica castigata dalla ferocia dei rivali. La Spagna ha la possibilità di infierire e non si ferma certo neppure nel finale quando Fernando Torres, l’ultimo arrivato, può timbrare il cartellino e dare al risultato le dimensioni di un’autentica lezione col contributo di Mata appena giunto sul prato di Kiev. La Nazionale di Prandelli chiude in 10 nell’ultima mezz’ora e a quel punto paga tutto il dazio possibile e immaginabile portando a casa un «cappotto» umiliante. Tutto in una sola notte, in una sola sfida, l’ultima, la più importante. Della Spagna scoperta in affanno col Portogallo non c’è traccia. Anzi sembra rivitalizzata dalla finale e dalla voglia di chiudere il conto con gli azzurri, finalmente domati e messi in ginocchio.
Si capisce subito l’antifona. La si capisce dalla partenza della Spagna che sgabbia decisa a prendere il pallino in mano e a menare la danza concessione alcuna al timido tentativo dell’Italia di opporre resistenza. Nei primi 10 minuti gli azzurri di fatto non toccano biglia mentre gli spagnoli procedono secondo consuetudine scambiandosi il boccino ripetutamente e a tutta velocità in modo da mandare in tilt ogni forma di difesa. Perciò è uno sbocco quasi naturale il primo gol degli spagnoli maturato da un taglio laterale di Fabregas che coglie Chiellini in ritardo, non invece Silva, pronto a raccogliere di testa l’invito e a infilare il primo confetto alle spalle di Buffon. De Rossi ha una tacchettata all’altezza del ginocchio, Chiellini deve farsi da parte per guai muscolari, Marchisio finisce nella centrifuga di Jordi Alba) mentre emergono segni inconfondibili di stanchezza che non consentono all’Italia di opporre una significativa presenza. La conseguenza è la seguente: Spagna padrona del campo e della palla, a tal punto da riuscire persino in un perfetto contropiede. Lo spadone di Jordi Alba s’infila tra Barzagli e Bonucci e può apparecchiare prima dell’intervallo il 2 a 0 matematico. Gli sforzi dei singoli, Cassano piuttosto che Balotelli, sono un esercizio d’impotenza a cui Prandelli tenta inutilmente di rimediare nella ripresa dando vita a un paio di ricambi che invece di alleggerire il peso finiscono col moltiplicare l’affanno e i tormenti. Di Natale, sosia di Cassano, ha due pallette a disposizione, per onore del vero e della cronaca: le sciupa tutte e due, a dimostrazione che Totò ha un rapporto complicato con l’azzurro.
Il timido tentativo dell’Italia di rimettersi in partita si conclude amaramente appena l’acciacco di Thiago Motta lascia in dieci il gruppo, già provato fisicamente. A quel punto la Spagna per maramaldeggiare non ha nemmeno bisogno di grandi imprese balistiche. Basta avere la pazienza di aspettare l’ultimo tratto della finale e con Fernando Torres e Mata, i due ricambi di Del Bosque, infliggere a Buffon un pesante passivo.
La Spagna festeggia il suoterzo trofeo consecutivo, l’Italia si ritira strabattuta e con le lacrime agli occhi da Bonucci a Pirlo, fino a Balotelli che è il primo a rifugiarsi nello spogliatoio, sconsolato, gli altri azzurri a testa china lo imitano più tardi. Inchinati dinanzi alla Spagna. Colpisce il 4 a 0 perfido e spietato, il modo insomma, non l’esito della sfida mai in discussione. Sono i migliori e i più forti ancora loro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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