Spesa alla Coop con l’imbarazzo nel carrello

Spesa alla Coop con l’imbarazzo nel carrello

Paolo Bertuccio

Due voci diverse, nella Coop travolta dallo scandalo Unipol. Da una parte le dichiarazioni ufficiali, tutte improntate alla prudenza e alla tranquillità ostentata; dall'altra la perplessità dei soci, dei clienti, dei consumatori. Di coloro che si possono definire la «base» di quella che, pur non essendo un partito, è una delle realtà di sinistra più presenti sul territorio, quello ligure in particolare. Ecco, la base tranquillissima non è. Le notizie riguardanti un monumento della sinistra che razzola in maniera sostanzialmente diversa da come predica hanno avuto il loro effetto non solo sui militanti politici. Essere socio Coop è uno stare a sinistra magari all'acqua di rose, ma è pur sempre una scelta consapevole. Per questo l'indignazione serpeggia anche tra il banco frigo e il reparto dolciumi, tra la cassa rapida e il banchetto delle promozioni.
Pomeriggio di acquisti per l'ultimo scorcio di feste, all'Ipercoop Aquilone di San Biagio. Il supermarket pullula di clienti, come sempre, e per trovarne uno che non abbia la tessera Coop bisogna cercare col lanternino. Comprano tranquillamente, ma hanno quasi tutti idea di ciò che sta accadendo ai vertici di quell'organizzazione che pensavano promotrice di un capitalismo un po' più etico. «Ho saputo sì della faccenda Unipol, e ci sono rimasta male, malissimo. Non ci si può fidare di nessuno. E pensare che ho il libretto di risparmio proprio qui in Coop!» sono le parole di una signora che si lascia distogliere per un attimo dalla scelta della carne per fare l'arrosto. Suo marito invece è più arrabbiato: «Speravamo in questa gente, ma forse ci siamo sbagliati. Per adesso continuiamo a comprare qui, ma poi vedremo… Si può sempre cambiare». Il discorso è simile per la coppia di anziani che gironzola intorno allo scaffale dei libri: la tessera in tasca ce l'hanno, «anche se veniamo a comprare poche volte all'anno», e ne sono anche orgogliosi. Ma anche a loro le recenti vicende non vanno giù: «Se qualcuno ha sbagliato deve pagare - sentenzia lui -. È una storia un po' triste per tutti, ma bisogna andare avanti. Sono convinto che l'idea di fondo delle cooperative sia buona: è necessario allontanare le mele marce». Comunque, chiosa la moglie, «il libretto di risparmio non lo abbiamo mai fatto, né abbiamo intenzione di farlo ora».
Non tutti, naturalmente, sono al corrente della situazione. I giovanissimi, soprattutto, danno l'impressione di viaggiare sul disinformato andante. La maggioranza di loro va all'Ipercoop solo per passare un pomeriggio in compagnia, non certo per attaccamento alla bandiera (rossa). E i fatti che vedono protagonisti Consorte, Fassino eccetera non li sfiorano minimamente, per cui a questi ragazzi è possibile estorcere soltanto commenti composti di un numero di sillabe prossimo allo zero. Alberto, diciassette anni, è il più loquace: «La politica è una cosa sporca, non m'interessa». Fanno eccezione pochi teenager dal look inconfondibilmente no global. Tra loro c'è chi pensa all'immancabile macchinazione pre-elettorale, ma pure qualcuno che sostiene che i disonesti vadano allontanati con delle pedate assestate proprio laggiù dove non batte il sole, ed auspica trasparenza per il futuro, «perché comunque la Coop è l'unico posto dove posso comprare senza sentirmi troppo in colpa». E non è neanche vero che a tutti i clienti dell'ipermercato vada l'idea di parlare della questione. La chiusura a riccio non è una rarità, soprattutto quando l'interpellato viene a sapere che si tratta di un'intervista per il Giornale. Ma c'è anche il caso di un signore barbuto, che si dichiara socio Coop e uomo di sinistra, che si stupisce sinceramente: «Sì, ho seguito attentamente questo fatto. So del coinvolgimento di Unipol e di Coop, ma proprio non vedo perché dovrei essere preoccupato. Non dimentichiamo che prima di dar giudizi bisogna aspettare le sentenze».
In qualcuno, dunque, c'è ancora una fede incrollabile, che va a braccetto con la granitica tranquillità che si respira nel Punto-clienti del centro commerciale. Dove due gentilissime impiegate dichiarano che nessun socio si è ancora presentato manifestando apprensione per la preoccupante deriva morale di quella che doveva essere l'azienda più integra del mondo. Ma proprio nessuno? «Sì, a dire il vero alcune persone sono venute a chiedere informazioni, nessuno però sembrava particolarmente arrabbiato o deluso. Noi, comunque, siamo sereni, e questa serenità riusciamo a trasmetterla al pubblico». La fila alle casse è, come sempre, interminabile. Girano i carrelli, i panettoni a marchio Coop fanno bella mostra di sé su qualunque scaffale, mentre quelli delle altre marche stanno andando via. Non si direbbe proprio che la Coop, la sedicente portatrice di un modello imprenditoriale etico, il trait d'union tra cuore di sinistra e portafoglio di destra, il rifugio di chi, insieme allo stomaco, mette a posto anche la coscienza, sia in questi giorni travolta dalla peggiore crisi d'immagine della sua lunga storia.

Alla fin fine, anche il più informato e critico di tutti i soci non ha ancora intenzione di rompere questo rapporto. È un'abitudine, e comunque è forse troppo presto per prendere decisioni drastiche. D'altronde la Coop sono loro, quelli che comprano, quelli che la animano. E vogliono crederci fino all'ultimo.

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