Albanese: vivo da topo come i boss mafiosi che portano infezioni

L'attore protagonista della sit-com di Raitre che prende in giro i latitanti chiusi nei bunker

Albanese: vivo da topo come i boss mafiosi che portano infezioni

Con il registro del grottesco Antonio Albanese può fare quello che vuole, da sempre. Da personaggi come Alex Drastico o Epifanio a quelli più politici come l'ingegner Perego, Cetto La Qualunque oppure il renziano in analisi di tre anni fa che ha anticipato probabilmente la realtà di oggi. Ora, per la prima volta, si misura con la serialità televisiva I topi: 6 episodi da 25 minuti ciascuno che Raitre trasmette in 3 prime serate, due episodi a settimana, il sabato alle 21,40 a partire dal 6 ottobre dopo Le parole della settimana di Massimo Gramellini. Ed è stato proprio il giornalista torinese a presentare alla stampa ieri a Roma i primi episodi della nuova serie che si potrà vedere tutta insieme, già da oggi, sulla app Rai Play «come intero box set - precisa Titti Andreatta a capo di Rai Fiction che produce con Wildeside - dedicato a chi vede i prodotti in maniera non lineare». Ma niente de I topi è lineare o già visto. A partire dall'idea di fondo - ribaltare il racconto della Mafia attraverso una famiglia con il padre latitante segregato in casa - che Albanese, in veste sia di regista che di sceneggiatore, racconta così: «È curioso, fin dall'inizio volevo che fosse una serie anche se devo confessare che io non ne ho mai visto una, non riesco a seguirle, perché è come con i fidanzati delle figlie, meglio non affezionarsi... Comunque tutto è nato circa tre anni fa guardando un servizio in televisione di un uomo che usciva da un armadio - dopo otto mesi di bunker, sottolineava il cronista - e tendeva le mani ai poliziotti quasi a dire grazie. Mi sono detto: è un deficiente. Un uomo che fa di tutto per non andare in galera ma è in galera da anni». Nasce così il personaggio di Sebastiano che vive in una villetta del Nord Italia con la famiglia - moglie, due figli e zii a carico - e ogni volta che suona il citofono si rintana, come i topi appunto, nei cunicoli sotterranei.

Naturalmente il titolo della serie non è casuale: «La comicità vuole essere anche uno strumento rivelatore della bestialità e dell'ignoranza delle realtà mafiose che sottraggono nutrimento e sono portatrici di gravi infezioni come i topi». Ma lo sguardo di Albanese, come sempre, non è mai didascalico o moralistico. Il suo personaggio è un essere umano che assume questa sua dimensione, pur nella follia dei comportamenti, all'interno della vita familiare che è poi il centro drammaturgico della serie che vuole anche essere sperimentale, «un po' come l'anno scorso lo è stata Linea verticale», dice Stefano Coletta direttore di Rai Tre da poco più di un anno ma che, come tutti i responsabili di rete, è in attesa di conoscere le imminenti nomine dell'azienda pubblica.

Così ecco che ci si affeziona a questa stramba compagine di familiari tutti complici delle attività illegali del capofamiglia, dalla moglie Betta (Lorenza Indovina) alla figlia Carmen (Michela De Rossi) che si sta per laureare, dal figlio diciassettenne Benni (Andrea Colombo nel suo primo ruolo) in rotta con il padre per la sua passione per la cucina, data anche dai programmi tv da cui non si stacca, alla zia Vincenza (Clelia Piscitello) che di nascosto si gioca tutto alle scommesse ed è sposata con Vincenzo (Tony Sperandeo), capostipite mafioso che nel bunker sotto la casa ci sta da 12 anni immobile perché ogni cosa la giudica - papale papale - «di merda». A completare il quadro c'è U stuortu (Nicola Rignanese), uomo di fiducia e amico di Sebastiano che lo utilizza per comunicare all'esterno, soprattutto con gli altri mafiosi.

Di impianto gustosamente teatrale, I topi ricorda un'altra serie geniale, 456 di Mattia Torre andata in onda su La7, proprio nel raccontare la famiglia come avamposto d'una più generale arretratezza culturale: «Una grandissima parte di queste famiglie è prigioniera di leggi primitive e ha un tessuto spento, pieno di stupidità, dove l'ignoranza regna sovrana.

Mi sembrava importante raccontarlo ai giovani», dice Albanese che conosce ciò di cui parla essendo nato a Lecco da genitori siciliani emigrati al Nord del boom economico quando «non si affittava ai meridionali come mio padre che ha vissuto da solo per un anno in un sottoscala». Come un topo?

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