Era il 19 maggio 1987 quando i media italiani e mondiali annunciarono la morte di Almerigo Grilz, reporter di guerra triestino, rimasto ucciso in Mozambico mentre filmava una battaglia tra i guerriglieri della Renamo e le truppe del Frelimo. Sono passati trent'anni, ma a ricordare quell'uomo e quel giornalista straordinario sono rimasti solo gli amici e i colleghi che sono cresciuti al suo fianco. Perché?
Grilz era un personaggio scomodo, fuori dal coro, con un passato che per i politicamente corretti era riprovevole. E, anche se è stato il primo giornalista italiano a morire in prima linea dopo la fine della seconda guerra mondiale, per il reporter triestino non ci sono state commemorazioni ufficiali come per coloro che sono caduti dopo di lui. È stato messo all'indice, estromesso dalle liste dei giornalisti morti sui fronti di guerra, discriminato perché quando era giovane militò e guidò le formazioni giovanili del Msi. Non aveva il pedigree progressista, andava scartato, respinto, cancellato. Anche dopo morto. Eppure non era un nome sconosciuto alla grande informazione, i suoi reportage apparivano periodicamente sulle pagine del Sunday Times e grandi network tv, come la Nbc e Cbs, trasmettevano i suoi servizi televisivi.
Già, lavorava più per i media stranieri che per quelli italiani. Perché fra i benpensanti del Belpaese era stato messo al bando, tanto da costringerlo, quando scriveva sui giornali nostrani, a firmare con uno pseudonimo. D'altronde, l'etichetta che gli avevano affibbiato era indelebile: fascista. Quindi impresentabile, a prescindere dalla professionalità, dalla qualità e dall'esclusività dei servizi che realizzava. Quando cadde in Mozambico, infatti, l'Unità titolò: «Morto mercenario triestino». Oltreconfine, invece, il registro era totalmente diverso, basti ricordare che il Sunday Times dedicò mezza pagina alla sua tragica fine. Banalmente, i media stranieri valutano i giornalisti per quanto valgono, non per le loro idee. Mentre per quelli italiani contava una cosa sola: Grilz aveva scoperto la politica militando dalla parte sbagliata. E dopo trent'anni il suo nome non può essere accomunato agli altri giornalisti caduti al fronte, né sulle lapidi né alle commemorazioni. Paradossale, se si pensa che Reporters Sans Frontiers, nel monumento eretto in Normandia per ricordare i reporter caduti in guerra, abbia inciso il suo nome tanto reietto in Italia.
In questi giorni è stata pubblicata una biografia illustrata del reporter triestino (Almerigo Grilz. Avventure di una vita al fronte, Ferrogallico, euro 17, postfazione di Fausto Biloslavo e Gian Micalessin). La graphic novel ripercorre la sua vita, dagli anni della militanza politica, che hanno forgiato il suo carattere, fino alla scelta di diventare un giornalista di guerra, con tutte le ripercussioni sulla sua vita e dopo la sua morte.
Difficile narrare la storia di un uomo straordinario in 100 pagine illustrate, ma autori e disegnatore (Francesco Bisaro) sono stati capaci di far rivivere il clima pesante degli anni Settanta e la tensione e la voglia di conoscere che hanno spinto Grilz a raccontare le guerre dimenticate nei più sperduti angoli del mondo.
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