Pedro Almodóvar, il regista simbolo della movida e della Spagna postfranchista con i suoi primi provocatori film, come Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio del 1980 in cui, ha spiegato, «non c'era nemmeno l'ombra della dittatura perché negarla era la mia maniera di vendicarmi di essa», presenta ora, in concorso a Venezia, il suo primo lavoro veramente politico. In Madres paralelas si vendica con precisione chirurgica di una frase di Mariano Rajoy del Partido Popular che, quando il centrodestra è tornato al governo dopo l'epoca del socialista Zapatero, ha tenuto fede alla promessa fatta nel 2008: «Io eliminerei tutti gli articoli della legge di memoria storica che prescrivono di dare soldi pubblici per recuperare il passato. Io non darei un solo euro dello Stato». La «Ley de Memoria Histórica», approvata nel 2007 durante il mandato di José Luis Rodríguez Zapatero, stabilisce misure a favore di chi ha subìto persecuzione o violenza durante la guerra civile e la dittatura, tra l'altro eliminando tutti i simboli pubblici del franchismo e aiutando l'individuazione delle fosse comuni. Nel biennio 2013-2014 Rajoy ha di fatto tolto tutti i fondi alla legge, perché contrario a rivangare un passato, appunto, morto e sepolto: «Io sono molto sensibile a questo tema - dice Almodóvar - perché la società spagnola ha un debito morale enorme con le famiglie dei desaparecidos abbandonati in luoghi indegni. Il cinema sopravvive a noi che lo facciamo. Così il nome di Rajoy rimarrà nel mio film sempre legato a quella frase che ha detto».
Ecco dunque che nel film Janis (interpretata da Penélope Cruz), una fotografa di moda molto alla moda, ossessionata dal bisnonno finito in una fossa comune nel paesino d'origine, decide di chiedere a un esperto antropologo forense di aiutare lei e gli abitanti del pueblo nell'esumazione dei loro cari. In questa linea narrativa quasi da cinema civile, Almodóvar inserisce una delle sue tipiche storie melodrammatiche color pastello con la stessa Janis che, rimasta incinta dell'antropologo, nelle ore prima del parto divide la stanza di ospedale con l'adolescente Ana (interpretata dalla nuova chica almodóvariana, Milena Smit) che aspetta una bambina non sa nemmeno lei da chi. Curiosamente in Carne tremula del 1997, primo film in cui Almodóvar fa un accenno al periodo franchista, è sempre Penélope Cruz a essere incinta e a partorire su un autobus durante uno stato d'emergenza.
Naturalmente la storia delle due figlie e delle due madri non sarà lineare e gli emozionanti colpi di scena del cuore - l'antropologo esce di scena per lasciare posto solo alle donne - accompagneranno lo spettatore fino allo scavo della fossa comune con un finale riconciliatorio, in cui il privato si fa pubblico. Si fa Storia. Il tentativo del regista spagnolo è indubbiamente anche quello di ricordare ai più giovani la storia del suo Paese perché, dice, «ora è la generazione dei nipoti a chiedere le esumazioni dei nonni o dei bisnonni. In passato le generazioni che avevano avuto queste perdite, traumatizzate, avevano paura a ricordarle, a casa mia nessuno parlava della guerra. Quando nel 1978 è arrivata la democrazia la legge sull'amnistia ha facilitato la transizione, ma ancora una volta si è dimenticata dei familiari dei desaparecidos».
La storia di Madres paralelas arriva da lontano, addirittura in Gli abbracci spezzati del 2009 appariva una locandina di un omonimo film la cui storia ronzava nella testa del regista che l'ha ripresa in mano durante la pandemia: «Ora mi interessano più le madri imperfette. Il personaggio che ho pensato su Penélope diventava sempre più complesso e interessante. Ho incontrato madri che non avevano un grande istinto materno». Il riferimento è al personaggio di Teresa, la mamma un po' distratta dell'adolescente Ana, che fa l'attrice e riesce ad avere la parte della protagonista nel dramma Donna Rosita nubile di Federico García Lorca, «il più grande desaparecido della storia spagnola» ricorda il regista: «Sono stata molto fortunata a interpretare questa madre imperfetta - dice l'attrice Aitana Sánchez-Gijón - che si porta dietro la colpa di privilegiare il lavoro rispetto alla maternità. È sicuramente una donna egocentrica, ma anche una grande lottatrice e lo sguardo di Almodóvar è di grande comprensione. Grazie Pedro!».
E molto riconoscente è anche l'attrice feticcio del regista, Penélope Cruz: «È stato un viaggio intenso,
abbiamo provato il personaggio per tre mesi, non credo ci siano altri registi che lavorano così. È un uomo disposto a dare la sua vita per il film, sembra esagerato, lo so, ma è l'unico modo per portare fuori la verità».
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