Ambrose Bierce, l'orrore si gusta meglio attorno a un falò

Tornano le storie di fantasmi ambientate nel West del leggendario scrittore americano

Ambrose Bierce, l'orrore si gusta meglio attorno a un falò

A volte ritornano. Come i morti. Si chiamano fantasmi.

Si chiamava Ambrose Bierce, anno della nascita 1842, Meigs Country, Ohio, data della morte forse il 1914, e non si sa neppure esattamente dove avvenne: da qualche parte nel Messico, al seguito di Pancho Villa, probabilmente come osservatore dell'esercito rivoluzionario. Resta il fatto che scomparve senza lasciare tracce: la sua sparizione è uno dei misteri più celebri e inspiegabili della storia della letteratura americana (paragonabile all'enigma dell'identità dello scrittore B. Traven, del quale si dice che Bierce fosse l'alter ego), e così al mito si aggiunse la leggenda.

La leggenda di Ambrose Bierce è quella di un soldato e poi topografo nella guerra civile americana (cui partecipò con la giubba dell'Unione, finendo in alcune delle più terrificanti battaglie del conflitto, guadagnandosi il grado di tenente e una ferita alla testa che quasi lo uccise), giornalista in California, critico dell'Examiner di William Randolph Hearst, firma satirica durante il suo lungo soggiorno a Londra, irregolare e bohémien tanto che alcuni lo hanno voluto avvicinare a Oscar Wilde... Ma soprattutto quella di uno scrittore di racconti memorabili e autore del cinico, irriverente, sfrontato Dizionario del diavolo (nella sua edizione definitiva esce nel 1911), considerato fra i cento capolavori della letteratura americana, che mise sulla graticola le ipocrisie della società di fine Ottocento, senza fare prigionieri: società, linguaggio, intellettuali, istituzioni, religione. Insomma, un monumento all'egoismo e alla stupidità umana. Era così cinico, da essere chiamato «Bitter Bierce».

Ma il punto è un altro. Il punto - qui, ora - sono i suoi racconti, genere di cui Bierce fu maestro (quelli di guerra sono capolavori che, si dice, hanno influenzato anche Stephen Crane e Ernest Hemingway). Anzi, di più. Bierce non fu solo un maestro del racconto, fu un maestro di «ir-realtà». Le sue storie - morbose, ciniche, inquietanti, soprannaturali - si collocano sempre alla frontiera tra il reale e il fantastico. E, tenendo conto che l'ambientazione, sia per le storie di guerra sia per quelle dell'orrore, è sempre il West degli allevatori di bestiame, degli avventurieri, i cercatori d'oro, le prostitute, i banditi e gli sceriffi, i soldati confederati e unionisti, gli sbandati, i disertori, gli esploratori, i cacciatori di bufali e di pellicce..., il curatore e traduttore Matteo Zapparelli Olivetti ha raccolto le più belle storie di fantasmi e case infestate scritte da Bierce e le pubblica oggi sotto il titolo Spettri di frontiera per la sua casa editrice, Adiaphora (pagg. 278, euro 16). Se conoscete già Ambrose Bierce, il libro è imperdibile. Se non lo conoscete, è un buon punto di partenza per conoscerlo.

Attenzione. I racconti - venti in tutto, usciti originariamente su quotidiani e riviste americane, soprattutto The San Francisco Examiner e il mensile Cosmopolitan, tra il 1886 e il 1907 - non sono inediti per l'Italia. Ma sono ritradotti e con il testo originale a fronte. Eccolo qui il Weird western di Ambrose Bierce: case antropomorfe (e uomini che escono dal naso), misteriose impiccagioni, corpi che riprendono vita, collassi spazio-temporali, fattorie abitate da inesplicabili presenze, premonizioni, strani omicidi, sparizioni inspiegabili, vendette dall'oltretomba, entità soprannaturali, finestre sbarrate, orologi magici, antiche maledizioni, cimiteri infestati, gole dimenticate, deserti assolati, messaggi da altre dimensioni, allucinazioni, esplosioni follia, possessioni Poco sangue, molte anime che non riescono a darsi pace. Come intitolò un'altra sua raccolta lo stesso Bierce, Can such things be? (1893): Possono accadere cose del genere? La risposta non la saprete neppure alla fine delle venti disturbanti short stories, percorse da un sottile brivido di humor nero e squassate da un insostenibile orrore esistenziale. Si chiamano campfire tales. Storie del terrore da raccontare attorno a un falò

Ponte letterario fra l'Edgar Allan Poe dei racconti dell'incubo e il Lovecraft cantore dell'orrore cosmico, Ambrose Bierce - letto da Robert A. Heinlein, Lin Carter, Marion Zimmer Bradley, ma anche Borges e Cortázar hanno ammesso di dovergli molto - è un caposaldo del genere fantastico. Al pari - stessi anni, stesse atmosfere - del gallese Arthur Machen, le cui storie gotiche dell'orrore, a partire da Il grande dio Pan (ripubblicato di recente proprio dalla stessa casa editrice Adiaphora) hanno aperto nuove visioni persino a Stephen King, Neil Gaiman e al regista Guillermo del Toro...

Purtroppo Ambrose Bierce non è ancora ricordato come merita. Negli Stati Uniti la sua fortuna editoriale conosce alti e bassi. La critica accademica tende ancora a snobbarlo, ma una numerosa setta di fan lo adora. I siti riconosciuti in cui si concentrano studi, ripubblicazioni, ricerche sono ambrosebierce.org/main.html e donswaim.com. In Italia negli ultimi dieci-quindici anni, a parte il Dizionario del diavolo, uscito anche da Guanda e Bur, sono stati soprattutto gli editori Mattioli 1885, Fanucci e Theoria a pubblicare i suoi racconti (e non è poco).

E se qualcuno pensa che le storie fantastiche di Ambrose Bierce siano cose di altri tempi (e in parte lo sono, dalle atmosfere più ottocentesche che novecentesche), bisognerebbe però ricordargli quanto lo scrittore ha segnato l'immaginario orrorifico contemporaneo.

Come possono capire coloro che hanno letto Il Re Giallo di Robert William Chambers e soprattutto hanno visto la prima stagione della serie televisiva True Detective (2014), se diciamo loro che il racconto che apre la raccolta Spettri di frontiera, apparso la prima volta nel 1886, si svolge nella città magica di Carcosa

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