La storia è stata raccontata con precisione nel bel documentario di due anni fa di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese dal titolo Il caso Braibanti. E cioè il processo, nel fatidico 1968, al drammaturgo, poeta e mirmecologo Aldo Braibanti con l'accusa di plagio per aver sottomesso alla sua volonta, in senso fisico e psicologico, un suo studente e amico maggiorenne. Il ragazzo, per volere della famiglia che portò Braibanti dietro il banco degli imputati, venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico e sottoposto a una serie di devastanti elettroshock, perché «guarisse» da quell'influsso «diabolico». Braibanti fu condannato a nove anni di detenzione.
Ora la vicenda, che ripropone uno spaccato dell'Italia in cui le persone omosessuali venivano definite «invertiti» o «pederasti» e ovviamente il processo basato sul reato di plagio voleva colpire questo tipo di «devianza» , è diventato un film presentato in concorso a Venezia 79, Il signore delle formiche, diretto da Gianni Amelio che fa un'operazione simile a quella del Craxi in Hammamet, innestando una vicenda reale nella sua (auto)biografia più politica o personale. Perché è vero che il racconto del personaggio di Aldo Braibanti, interpretato con straordinaria aderenza da Luigi Lo Cascio, segue esattamente quello storico dal laboratorio artistico di Castell'Arquato in provincia di Piacenza, agli anni romani e al processo ma Amelio, insieme agli sceneggiatori Edoardo Petti e Federico Fava, poi inizia a inventare la realtà siamo pur sempre in un film di finzione cambiando il nome e cognome alla giovane vittima di tutta questa vicenda, che qui si chiama Ettore (bravissimo l'esordiente Leonardo Maltese) mentre nella realtà è Giovanni Sanfratello, e costruendo un peculiare personaggio, il giornalista dell'Unità Ennio impersonato da Elio Germano. «Non potevo tacere il nome di Braibanti che è il focus del film spiega il regista ma ho cambiato i nomi della famiglia vera perché non volevo che la storia diventasse un fatto personale mentre invece volevo che rappresentasse una famiglia simbolica classica della provincia italiana». Questa invenzione, se da una parte esclude dal ricordo, e dalla denuncia di quanto gli è accaduto, la principale vittima, lobotomizzata, della vicenda, dall'altra apre il film agli spunti più autobiografici del settantenne Gianni Amelio che, solo qualche anno fa, ha fatto coming out: «Certe parole sono state dette a me, quando avevo 16 anni, e nel film le faccio ripetere ad un personaggio in calabrese, perché io sono calabrese: L'omosessuale ha due scelte, o si cura o si ammazza» sottolinea il regista de Il signore delle formiche che uscirà nelle sale domani.
Sembra proprio che Amelio abbia voluto chiudere alcuni conti personali con il suo passato perché, attraverso il personaggio del giornalista dell'Unità ossia, ricordiamolo ora che non c'è più, il quotidiano organo del Partito Comunista italiano attacca proprio quell'area politica. Spingendosi a mettere in scena un caporedattore, anche qui interpretato con grande efficacia da Giovanni Visentin, che censura gli articoli del suo giornalista sul caso Braibanti spingendolo addirittura alle dimissioni. Sui titoli di testa del film campeggia la scritta «Liberamente ispirato a fatti accaduti negli anni Sessanta» per cui è indubbio che Amelio abbia voluto raccontare la «sua» esperienza di realtà celebrando invece il Partito Radicale che, grazie a Pannella omaggiato con l'immagine di una Emma Bonino ripresa al giorno d'oggi che però ha iniziato a fare politica successivamente, nel '74, è stato quello che ha capeggiato la protesta di tanti intellettuali, da Moravia a Pasolini a Marco Bellocchio che ora è il produttore del film con Ibc Movie, Tenderstories e Rai Cinema, contro un processo scandaloso, arrivando poi, nel 1981, alla cancellazione del reato di plagio.
Un film dunque molto personale come evidenziato dallo stesso Amelio che, all'inizio della conferenza stampa, prima di aver avuto un diverbio con il critico dell'Espresso Fabio Ferzetti per un titolo di due anni fa su Hammamet, si è confidato così con i giornalisti: «Ci sono in me delle fragilità umane che io ho rivissuto con questo film. Ho scoperto le stesse fragilità di Aldo Braibanti, questo ha giovato al film ma non a me come persona.
Penso di aver dato il massimo come regista. Braibanti si è innamorato, mi sono innamorato anch'io. Non mi è andata male come a Braibanti, non sono andato in carcere come lui ma sono chiuso in un mio carcere personale. Sono l'uomo più disperato del mondo».
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