Leggere il nuovo libro di Matt Haig è consolante, non solo perché è sempre alla fin fine rassicurante apprendere delle sventure e insicurezze altrui (e l'autore di Sheffield svela le proprie senza alcuna remora), ma anche perché consola sempre scoprire che non siamo i soli. Per esempio: anche a Matt Haig succede di autodiagnosticarsi malattie terminali, di allarmarsi per qualsiasi vuoto di memoria considerandolo Alzheimer precoce, di scrutare con orrore ogni nuovo neo (o magari osservarne meglio uno vecchio) scorgendovi un tumore potenziale; anche lui, ogni volta che sua moglie Andrea non gli risponde al telefono, pensa che lei sia caduta dalle scale oppure che sia andata soggetta ad autocombustione spontanea; anche Haig entra in un aeroporto pieno di sospetti e di paure, quando mangia un fungo pensa che potrebbe morire intossicato, quando sente dell'inquinamento si preoccupa per il mondo, l'ambiente, il futuro, i figli, e quando pensa a sé stesso capisce di farlo un po' troppo e, quindi, si preoccupa ancora di più, perché non è mica normale.
Però Matt Haig, che già aveva raccontato della sua depressione e dei suoi attacchi di panico in Ragioni per continuare a vivere (Ponte alle Grazie), di fronte a un nuovo crollo e all'ansia divorante si è messo a ragionare (oltre che a respirare, fare yoga, spegnere il cellulare, rinunciare a twitter per qualche giorno, ignorare le mail, togliere le notifiche dallo smartphone...) e ha fatto un passo più in là. Ha capito che il problema non è soltanto suo, che lui per carità sarà ansioso, catastrofista e sulla soglia dell'impazzimento, ma il mondo intorno, il mondo in cui è immerso, è anche peggio. Come ipotizza un suo amico: «Immagina che il mondo non si limiti a far impazzire la gente... Immagina che sia il mondo in sé a essere impazzito». Insomma il crollo nervoso, il crash del sistema, non riguarda il singolo, il signor Matt Haig ossessionato dalla perdita degli affetti (Come fermare il tempo è il suo bestseller, e/o 2018) e dalle pessime notizie, bensì la società intera: e il motivo è che tutti quanti conduciamo una Vita su un pianeta nervoso (e/o, pagg. 412, euro 15), e questa vita, e questo pianeta, ci rendono, guarda caso, nervosi. A volte nervosissimi. A volte così nervosi che non riusciamo né a muovere un muscolo, né ad attivare un neurone, perché la paura di vivere ci paralizza.
Se il mondo è come un cervello, interconnesso grazie alle tecnologie (internet su tutte), allora, dice Haig, «noi siamo i neuroni del cervello del mondo, e trasmettiamo noi stessi a tutti gli altri neuroni. Trasmettiamo il sovraccarico avanti e indietro. Neuroni sovraccarichi di un pianeta nervoso. Sul punto di crollare». Il sovraccarico è un problema così grosso che, solo a pensarci, ne rimani schiacciato. Lo stesso Haig riflette che, mentre uno legge il suo libro, non ne sta leggendo decine, migliaia, milioni di altri: secondo il sito Mental Floss, 134 milioni e rotti di volumi (nel 2016). Si può vivere così? Pensando che ci sono altri 134 milioni di libri da leggere? E, nel frattempo, con il nostro cervello sovraccarico di pensieri e di preoccupazioni, con il supermercato sovraccarico di prodotti, il lavoro che ci sovraccarica di impegni e il mondo che intanto gira e ci riempie di informazioni, notizie, disinformazioni, fake news, opinioni, disopinioni, foto, fotomontaggi? Si può imparare, dice Haig, a dosare il peso della vita, grazie a una «tabella degli psicogrammi» (dove, per dire, il senso di colpa per non essere andato in palestra vale 50, la casella piena di mail a cui rispondere 321), da controbilanciare con «psicogrammi negativi», che alleggeriscono l'esistenza.
Si può selezionare. Si può tentare la dura strada di non pretendere di essere, avere e diventare ciò che non possiamo. Si può osare ciò che Kierkegaard aveva intuito: nella «vertigine della libertà», non scegliere tutto, ma solo qualcosa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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