Lui no. Mentre tanti si ridicolizzano provando a far musica da «ggiovani», Claudio Baglioni fa semplicemente Baglioni. Quello più autentico (e amato) che è diventato la voce di almeno un paio di generazioni. «Non si può giocare a nascondino, ognuno è figlio del proprio tempo» dice e come non esser d'accordo. Dopotutto «all'inizio della carriera si è sempre pieni di grinta, ma poi il rischio è che si perda l'energia e si preferisca la sapienza», spiega confermando appunto che lui no. Insomma, venerdì 4 esce In questa storia che è la mia, primo disco di inediti dopo sette anni, il primo dopo i Capitani Coraggiosi con Gianni Morandi e i Sanremo trionfali e quindi il più difficile da tanto tempo a questa parte. «A lavorarci ho iniziato tre anni fa, ma in mezzo ci sono stati due tour e i Festival, insomma non è stato semplice e, a un certo punto, ho anche avuto paura di non riuscire a finire proprio», sorride lui che ama approfondire ma s'arrabbia se non arriva al fondo.
E In questa storia è un disco che vale la pena ascoltare dall'inizio alla fine, 78 minuti curati ognuno come se fosse l'ultimo e cantati come se fosse sempre il primo. Non a caso «questo album vuole esprimere «anche lo spirito del periodo musicale tra gli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta», spiega con un accento orgogliosamente vintage: «Ho riscoperto il vero significato di incidere, la parola che si usava una volta per chi registrava un disco. Ho voluto incidere e andare più vicino al cuore». Missione riuscita, bisogna ammetterlo. Piaccia o no, Claudio Baglioni ha impacchettato un signor disco all'altezza dei suoi migliori, costruito con un «capostoria» e un «finestoria», quattordici brani e quattro intermezzi musicali con le strofe dell'ultimo brano Uomo di varie età: «Un gioco di parole per rendere l'idea che il mio percorso ha toccato anche punti di arte varia».
E chiunque lo abbia seguito anche dal vivo, non solo nell'ultimo tour, si è accorto di come i suoi concerti siano sempre stati un incontro tra musica e rappresentazione, tra versi e messaggi visuali. «Questo disco è un romanzo, un racconto soprattutto autobiografico. Una storia con due lenti diverse. Una è un grandangolo, l'altra è una sorta di teleobiettivo per riprendere da vicino ciascuna vicenda», dice lui e non va mica tanto lontano dal vero. Difatti i primi versi della prima canzone Altrove è qui sono forse il manifesto del vero Claudio Baglioni: «Ho vissuto per lasciare un segno come se non fosse mai finita, ho portato la mia fede in pegno per non farla più cadere dalle dita».
Questo disco, che è un «concept album» alla vecchia maniera e racconta una storia nella quale non c'è la parola fine, ha in realtà uno spirito innovativo perché va controtendenza: è pressoché privo di magheggi tecnologici, non ha basi, è suonato con strumenti veri e c'è quasi sempre la chitarra acustica, strumento ormai in via di estinzione perlomeno nel pop. «Certo, se rinasco faccio il cantautore inglese perché scrivere in italiano è veramente difficile», sorride.
Nonostante una carriera sterminata, Baglioni è però ben piantato in questo tempo: «La pandemia non ha cambiato molto le mie abitudini private perché sono abbastanza solitario. Ma ha bloccato la scrittura, questo sì». E adesso bisogna pensare anche ai concerti, che sono il vero miraggio del momento. «Intanto penso a chi nel mio settore ha perso il lavoro, e lo faccio anche con donazioni private e riservate», dice.
E poi si concentra anche su come allestire il ritorno in scena, ossia le dodici serate di giugno alle Terme di Caracalla a Roma e poi due al Teatro Greco di Siracusa e due all'Arena di Verona, per ora: «Uno sul palco deve andare con il vestito più bello» conferma un artista che della precisione ha fatto un biglietto da visita. «Però in questo periodo credo che sia possibile fare altre letture dei concerti, cambiarli e adeguarli al momento».
Lui, che per sé utilizza una immagine bellissima («La vita mi ha cucito così») ha saputo adeguarsi anche alla frenesia del Festival di Sanremo, cucendoselo alla propria maniera. Ci tornerebbe? «Non so, può darsi, ma mi dicono che non si possa uscire Papa e tornare cardinale». E, in effetti, non ha tutti i torti.
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