Bazlen, una vita dedicata all'"altra parte" dei libri

In "Bobi", Roberto Calasso racconta aspetti inediti, gusti e abitudini di chi creò la casa editrice Adelphi

Bazlen, una vita dedicata all'"altra parte" dei libri

Se c'è qualcuno che conosceva bene Bobi Bazlen, è Roberto Calasso. Il primo è l'ideatore della casa editrice Adelphi. Il secondo è quello che l'ha fatta diventare «l'Adelphi».

Roberto Bazlen, detto Bobi, da Trieste al resto d'Europa e delle letterature del mondo, traghettando la cultura dell'Est e dell'Oriente in Italia, è una leggenda dell'editoria (lavorò con Adriano Olivetti, fu consulente di Bompiani, Astrolabio e soprattutto Einaudi, dove peraltro le sue proposte solo di rado venivano accolte), del mondo dei libri (pochi seppero leggere come lui, per sé e per gli altri), della scrittura (quasi nessuno seppe scrivere l'essenziale come lui: cioè pochissimo, e comunque non pubblicò nulla durante la sua vita) e della cultura italiana (che influenzò in maniera inversamente proporzionale alla sua presenza mediatica: che fu quella di un fantasma).

Lo si ricorda sottovoce, lo si cita, lo si porta sempre a esempio, lo si studia («fra molte gaffes e imprecisioni», nota Calasso, e non sappiamo se sta pensando alla biografia firmata da Cristina Battocletti per La nave di Teseo nel 2017 o ad altro), si scrive su e di lui, ma evidentemente non come si dovrebbe («il più rimane da dire e da capire»), se Roberto Calasso, il terzo fratello della Adelphi, accanto ai due che compaiono nel pittogramma del logo, ha ritenuto, dopo tanto tempo - la casa editrice è stata fondata nel 1962, Bobi Bazlen è morto nel 1965 - di prendere in mano la faccenda, di sgomberare il personaggio da leggende e mitizzazioni, di riordinare le note a margine che finora aveva sparso nei suoi scritti su di lui e di (ri)consegnarcelo per quello che è: semplicemente Bobi, come da titolo del suo nuovo breve e densissimo libretto (naturalmente Adelphi, pagg. 98, euro 12). E si potrebbe partire dalla didascalica quarta di copertina, come sempre scritta da Calasso, ma questa volta addirittura siglata R.C., dove c'è molto, se non tutto: «L'idea e la fisionomia della casa editrice risalgono a lui. Quando Bazlen mi parlò per la prima volta di qualcosa che sarebbe stata Adelphi e non aveva ancora un nome mi disse: Faremo solo i libri che ci piacciono molto».

Comunque, leggendo i ricordi (romanzati? Tutto nella vita è romanzo) di Calasso su Bazlen si scoprono aspetti curiosi, aneddoti (l'amicizia con Leonor Fini, le sue letture di Montale), note in forma di aforismi micidiali (sia di Bazlen: «È un mondo della morte - un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti - alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi»; sia di Calasso: «Una casa editrice è fatta di sì, ma ancor più di no»), risposte definitive («Che cosa potrebbe tentare uno scrittore in questo momento?». «O il minuscolo o l'immenso O Jules Renard, il Diario, o il tutto»), particolari inediti. Ad esempio: a Roma Bobi frequentava la sala da tè rigorosa e piacevolissima, dai prezzi alti, Babington. Bobi che parlava a Calasso soprattutto di libri, autori, testi da tradurre: «Molto presto mi parlò di due scrittori di cui a malapena conoscevo il nome, in quanto surrealisti parigini e ribelli: René Daumal e Roger Gilbert-Lecomte». Che era allergico ad Adorno («Su di lui - confessa Calasso - disse alcune parole perfide, che mi scossero: È uno di quelli che si profumano perché hanno paura di puzzare»). Che «La sua prima lingua era il tedesco, poi l'inglese e il francese, con la massima familiarità» (ed evidentemente l'italiano). Bazlen - ed è un particolare che vale il libro - parlava di Kafka con il suo amico Schiffrer nel 1925, quando Il processo, Il Castello e Il disperso non erano stati ancora pubblicati. E Kafka era morto l'anno prima. «Bazlen era inadatto a qualsiasi funzione, se non quelle di capire e di essere» (una frase in cui c'è tutto Bazlen, tutto Calasso e tutta la Adelphi). I libri che aveva più praticato erano L'abbandono alla Provvidenza divina dell'oscuro gesuita Jean-Pierre de Caussade che fra il 1730 e il 1740 operò come direttore spirituale di alcune religiose di Nancy, e l'I Ching, di cui rimangono numerosi esagrammi nei suoi diari. Dava consigli con toni biblici: «Se vuoi leggere il più inquietante demoniaco libro di tutta la letteratura universale, fatti venire Autodafè di Elias Canetti». Bazlen morì a Milano nel luglio 1964 e «Seguì un generale silenzio». E soprattutto, dice Calasso che «L'opera compiuta di Bazlen fu Adelphi».

A proposito, Bobi Bazlen fece a tempo a vedere la copia finita solo del primo numero della oggi ormai consacrata «Biblioteca Adelphi», quella destinata fin dalla sua fondazione a raccogliere i «libri unici», come li chiamava lui. Ed era L'altra parte di Alfred Kubin: «il libro a cui teneva molto - ricorda Calasso - non solo perché era il più bel Kafka prima di Kafka, ma perché l'altra parte era il luogo stesso dove Adelphi si sarebbe situata».

Per il resto, segnaliamo una delle prime reminiscenze di Calasso sul suo amico e maestro (mezzo secolo fa lo aveva chiamato «sciamano», ma poi «la parola sciamano ha subìto oltraggi così penosi da togliere ogni voglia di pronunciarla»). Un ricordo dei primi anni romani che, non dicendo nulla, spiega tantissimo di Bazlen. «Bobi stava al primo piano di via Margutta 7. Una stanza da un affittacamere, più un'altra stanza, dove non ho mai messo piede; forse era un pezzo di una stanza dei rifiuti. Il telefono era nel corridoio. La stanza di Bobi dava l'impressione di un perfetto ordine, senza per questo essere particolarmente ordinata. A sinistra un letto, dove si svolgevano le funzioni più importanti: leggere, scrivere, dormire.

Alcune pile di libri, alcuni stabili, altri di passaggio. Si riconosceva subito la differenza. Un minuscolo tavolino in mezzo. In un angolo, un fornello per il caffè. Bobi aveva un suo maglione norvegese marrone scuro, una tonalità attenuata dal tempo, che mi piacque subito».

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