Come le Bond Girls hanno influenzato il gusto femminile

Le Bond Girls, icone irraggiungibili di bellezza e classe, hanno attraversato gli anni rinnovandosi di film in film, da una parte specchio dei tempi, dall’altra pioniere dell’immagine di una donna nuova.

Come le Bond Girls hanno influenzato il gusto femminile

Le Bond Girls hanno davvero influenzato il gusto femminile in fatto di eleganza, moda e stile? È possibile che personaggi di fantasia siano diventate delle vere e proprie icone di bellezza e classe? Il magazine “Marie Claire” ne è certo e, attraverso una carrellata dei volti femminili amati da James Bond, spiega come sono cambiate le donne nell’arco di 60 anni. Il 30 marzo scorso è scomparsa Tania Mallet, l’interprete di Tilly Masterson nel film “Agente 007-Missione Goldfinger” (terzo della saga, del 1964). Tutti la ricordiamo fasciata nella sua camicia a maniche ampie e la pencil skirt grigia, ma soprattutto per la scena della sua morte, quando l’antagonista Oddjob le lancia il leggendario cappello dalla tesa affilata. Tania, icona della moda degli anni Sessanta, non girò altri film, poiché il lavoro di modella era decisamente più remunerativo.

Fu, però, Eunice Gayson, la Sylvia Trench di “Agente 007 Licenza di Uccidere” (1962) e “Dalla Russia con Amore” (1963) a essere considerata a tutti gli effetti la prima Bond Girl della saga. Mora, lineamenti mediterranei che ricordano quelli di Sophia Loren, la Gayson divenne, con il suo vestito rosso, un simbolo degli anni Sessanta, della passione che spingeva una nuova ondata femminista, sulle note delle canzoni dei Beatles. Honor Blackman, Pussy Galore in “Goldfinger”, aveva 38 anni quando venne scritturata per il film e rappresenta la donna determinata capace di affascinare indossando una giacca di velluto e pantaloni da cavallerizza. L’era dei lustrini e degli abiti da sera era finita: Ursula Andress (Honey Ryder in “Licenza di uccidere”, 1962) fu la “bomba sexy” che entrò nell’immaginario collettivo con un bikini bianco ormai divenuto leggenda: nel 2001 è stato venduto all’asta per 60mila dollari e tutte le donne sognano di indossarne uno simile almeno una volta nella vita.

Se Jane Seymour, la Solitaire di “Vivi e lascia morire” (1973) è simbolo del desiderio di afferrare l’essenza di un Oriente ancora ritenuto misterioso e un futuro avveniristico che si percepisce ormai vicino, Barbara Bach, la Anya Amasova di “La spia che mi amava” (1977) e moglie di Ringo Star riflette la necessità femminile di indipendenza ed è emblema, nei suoi abiti lunghi e dalle scolature generose, di una personalità che non teme rivali. Grace Jones, la May Day di “Bersaglio Mobile” (1985) è un’icona statuaria, sensuale, misteriosa, una sorta di cyborg dallo stile raffinato, talvolta esagerato, impossibile da copiare se non si ha carattere da vendere. Gli strass e il glamour più accattivante ritorna con Sophie Marceau (Elektra King nel film “Il mondo non basta”, 1999) e Halle Berry (Jinx ne “La morte può attendere”, 2002), interpretano l’immagine femminile più sexy, rappresentata da corpi non più formosi, ma asciutti e scattanti.

Monica Bellucci e Lea Seydoux (rispettivamente Lucia Sciarra e Madeleine Swann in Spectre, del 2015) chiudono questa carrellata che rispecchia anche i cambiamenti della donna comune negli ultimi 60 anni.

La Bellucci, soprattutto, avvolta nell’abito nero della scena del funerale nel 24esimo film dedicato alla spia britannica unisce la bellezza mediterranea a una sensualità pudica, che non ha bisogno di ostentare per farsi riconoscere. Forse una delle nuove tendenze dell’eleganza nell’epoca contemporanea.

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