Oggi il direttore d'orchestra Riccardo Muti spegne 80 candeline. Lo si festeggia in tutto il mondo, da uomo di mondo qual è. Si parte da Chicago, dove è direttore di quel gioiello sonoro che è l'orchestra Sinfonica: è stato istituito il «Muti Day». Si arriva a Napoli, la città dove Muti è nato, in parte cresciuto, e soprattutto che ha nel sangue. Venerdì il Conservatorio partenopeo lo festeggerà con professori e studenti.
Domani dirigerà al Quirinale per la riunione dei ministri della Cultura del G20. E su quel podio, non poteva che esserci quest'uomo, ambasciatore per eccellenza della cultura italiana. Tale non solo perché è l'artista italiano (di ogni forma d'arte) più noto al mondo, fa fede Google Trends, cliccare per credere. Ma perché usa la propria autorità e reputazione per ricordare (e bacchettare) a chi sta ai posti di comando che il sistema culturale di casa nostra è in caduta libera. Quante volte l'abbiamo visto, tra un bis e l'altro, rivolgersi al parterre dei politici e lanciare appelli, scoccare frecce da giornali e tv. «Vorrei che i proclami fatti da decenni venissero ascoltati. Nelle scuole deve essere ripristinato l'insegnamento della cultura musicale. L'Italia vanta la storia della musica più importante del mondo, abbiamo inventato l'opera, gli strumenti, il rigo musicale. Dobbiamo essere degni del nostro passato. Mi sento una voce che grida nel deserto, ma continuo a far battaglie: non per me, io ho avuto la fortuna di formarmi alla severa scuola italiana, lo dico per generazioni a venire. Io parlo come musicista, ma è un discorso generale: dobbiamo far sentire che siamo italiani, e questo non ha niente a che fare con nazionalismi e sovranismi, è la consapevolezza di appartenere a un grande Paese», ci ha detto nel corso degli anni in tante interviste.
Un Paese che vanta una presenza capillare di teatri-gioiello, teatri spesso chiusi. «Riapriamoli tutti affidandone la gestione ai giovani musicisti», dice. Giovani per i quali Muti si batte con parole e fatti: nel 2004 lanciò l'Orchestra Cherubini per talenti italiani, una palestra di formazione triennale. E dal 2015, ha avviato la «Riccardo Muti Italian Opera Academy», progetto formativo per direttore d'orchestra, cantanti, pianisti accompagnatori che sotto la guida di Muti apprendono come si costruisce un'opera, mattone su mattone, battuta dopo battuta. Da anni seguiamo le Masterclass di Muti. L'approccio non cambia. Posa l'orologio e inizia a lavorare da mattina a sera, senza risparmio. Pezzi di vita spesa fra podi di valore e studio severo sono la sostanza di lezioni quotidiane pensate per «insegnare ai giovani direttori che la nostra musica non è seconda nessuna. Deve essere trattata con il rispetto che si dedica agli autori d'Oltralpe» ricorda puntualmente Muti che vive la docenza come una seconda pelle. Ne è intrigato, esige, chiede, spiega, e in fondo si diverte. Lo ricordiamo mentre sprona un ragazzo timido dicendo «Sei il boss in questo momento». E al fanciullo che eccede in perifrasi: «Vai al dunque. Parti dalla sostanza quando parli ai musicisti». Guai alle punte di pollice ed indice che nella destra si congiungo facendo il tondino: «È la mano dell'espressione, aprila». E su tutto: guai a fare di Giuseppe Verdi il musicista dello zum-pa-pà. «Verdi è il compositore che parla all'uomo dell'uomo. Nel futuro l'umanità avrà più bisogno di Verdi che di Wagner. Quando dirigi Wagner senti come una malia, una magia che non ti lascia e non ti farà dormire la notte. Verdi ti sa confortare. Ho studiato Verdi tutta la vita. E più lo studio, più capisco quanto bisogna fare».
Verdi è Muti e Muti è Verdi. Ma il repertorio di questo artista è ampio. A dire il vero, in quest'ultimo anno s'è aggiunta una tessera: la Missa Solemnis di Beethoven, partitura che dirigerà alla testa dei Wiener Philharmoniker il prossimo agosto al Festival di Salisburgo. E così, torna alla guida di un'orchestra che mai nessuno ha frequentato quanto lui: si conta mezzo secolo di collaborazione mai interrotta. Un primato. E stiamo parlando del lusso musicale, un lusso talmente esclusivo e imprendibile che neppure Bernard Arnault (LVMH) riesce inglobare nella sua holding megagalattica. Muti ha riportato i Wiener in Italia questa primavera mentre i teatri tornavano a semi-aprirsi, e il primo gennaio li ha diretti per la sesta volta per il Capodanno musicale più famoso che vi sia, seguito da 50 milioni di spettatori.
Spegnerà le candeline con la famiglia, la moglie Cristina Muti, sempre al fianco, ma all'occorrenza anche qualche passo indietro, una presenza costante, brillante, ironica. Non mancheranno i tre figli Francesco, Chiara e Domenico, e i nipoti. L'inseparabile cagnolino. Poi via, si lavora.
Il vulcanico Muti non si ferma, non s'è mai fermato neppure durante il lockdown, nel giugno 2020 era già in pista con i suoi ragazzi dell'Orchestra Cherubini, con la sua solita carica vitale che mai abbiamo apprezzato così tanto come nei giorni bui della pandemia. Auguri Maestro.
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