«Per capire davvero Martin Eden meglio recitarlo in napoletano»

L'attore racconta come ha affrontato il personaggio creato da London: «Un uomo che scala la cultura e trova il vuoto»

Pedro Armocida

da Venezia

Esordiva proprio qui alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia del 2010 con La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo. Luca Marinelli è tornato al Lido protagonista di Martin Eden di Pietro Marcello, uno dei film più attesi anche per la sua ambizione di trasportare il celebre romanzo di Jack London da San Francisco a Napoli. Nove anni e 14 film dopo Luca Marinelli è il protagonista assoluto di uno dei film più applauditi di questa edizione del festival dove ha accompagnato anche il bel documentario di Simone Isola e Fausto Trombetta, Se c'è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari, regista con il quale ha girato l'ultimo film prima della morte, Non essere cattivo: «Ha risvegliato in me una profonda emozione ricordare così un regista che ci ha introdotto in questa famiglia del cinema». Ora, in attesa di interpretare Diabolik nell'omonimo film dei Manetti Bros (affiancato da Miriam Leone nei panni di Eva Kant), possiamo vedere al cinema da domani in Martin Eden il trentacinquenne attore romano che a Venezia ieri ha incontrato la stampa italiana.

Come è nato il progetto?

«È stato un miracolo. Ricordo di aver visto il film precedente di Pietro Marcello, Bella e perduta, e alla fine, tra le lacrime, mi sono detto come un monito: Fa' che questo regista mi chiami un giorno!. È successo».

Come ha costruito il personaggio? I piani temporali nel film sono complessi...

«A partire dalla lettura del libro e dalle prime stesure della sceneggiatura che era molto ricca, ricordo quasi 300 pagine perché non si voleva lasciare fuori nulla di questo libro che parla con me, con noi».

E che cosa dice?

«Parla di un avventuriero che affronta la vita proprio come faceva Jack London che è uno scrittore che mi affascina, come Stevenson, perché voleva toccare con mano le cose, arricchirsi, viaggiando senza stare mai fermo e avendo sempre uno sguardo aperto sulla realtà».

Chi è Martin Eden?

«Non so se lo so ancora descrivere, è un ragazzo che viene colpito dalla fascinazione della cultura e attraverso quella vuole riscattarsi. Però, vedendo questa montagna sempre da sotto, a un certo punto si arrampica arriva in cima e lì trova qualcosa che non si immaginava, qualcosa che lo delude, che non lo soddisfa più. Un cammino che lo porterà fino a perdersi».

Il lavoro sul set, a Napoli?

«Ci siamo andati un mese prima delle riprese. Abbiamo fatto delle prove teatrali, eravamo proprio in un sala, assieme agli altri attori, poi c'è stato anche un lavoro fisico perché il personaggio viene detto più di una volta che è prestante, e alla fine abbiamo imparato il napoletano, una lingua a tutti gli effetti».

Martin Eden

viene stritolato dall'industria culturale, lei teme di rimanere vittima del successo?

«Bisogna mantenere i piedi per terra, guardarsi, guardare le persone che ci stanno intorno e rimanere se stessi, saldi nelle proprie idee».

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