"In Casa Lampedusa ho trovato un uomo che cercava se stesso"

Fra sconfitta e rinascita: "Dopo la guerra vide quanto era imperfetto ciò che aveva perduto"

"In Casa Lampedusa ho trovato un uomo che cercava se stesso"

Tomasi di Lampedusa pare un gioco di ombre, un'ordalia in labirinti. Anche nelle fotografie, vaghe, ha l'aria della bestia braccata, sorpresa per un istante in un preciso crocevia cronologico. Tomasi di Lampedusa pare un concetto più che un uomo. Il Gattopardo lo ha bibliograficamente annientato: che fine hanno fatto le Lezioni su Stendhal, la Letteratura inglese, le lettere dall'Europa (l'anno scorso De Piante Editore ne ha raccolte alcune, inedite, in Ah! Mussolini!)? Perfino il «Meridiano» che raduna le Opere di Tomasi di Lampedusa risulta «esaurito». Appunto: Il Gattopardo, superbo felino, si è divorato il suo creatore. Così, ci è voluto un poeta canadese, Steven Price, a scrivere un romanzo che racconti il fato che unisce romanzo e romanziere («Del romanzo non aveva detto a nessuno tranne che alla moglie, ma non le leggeva nulla, e quando gliene parlava lo faceva in modo beffardo, chiamando quelle pagine i suoi scarabocchi, scuotendo ironicamente il capo»), il fantomatico destino della posterità, e a fare di Tomasi di Lampedusa una specie di Minotauro, figura da bestiario medioevale. «Personaggio sebaldiano, tanto appesantito dalla memoria da non essere mai autenticamente vivo», ha scritto Joseph Luzzi sul New York Times - il titolo del pezzo è eloquente: «How a Dying Man Wrote a Timeless Novel» - elogiando «la prosa superbamente controllata» di Price. Pubblicato l'anno scorso, sessant'anni dopo il fatidico Premio Strega assegnato al Gattopardo, Lampedusa esce ora per Bompiani (come Casa Lampedusa, pagg. 300, euro 18), e se possibile rende ancora più inafferrabile Tomasi di Lampedusa, un vulcano rovesciato. Il romanzo è dedicato a Lorna Crozier, importante poetessa canadese. Un paio di anni fa fu lei a dirmi qualcosa di risolutivo sul rapporto tra l'artista e la propria opera - il tema specifico di Casa Lampedusa. «Spero che il mio ultimo respiro coincida con il mio ultimo verso, e che ci sia qualcuno, lì, con me, a scriverlo».

Intanto, perché Tomasi di Lampedusa?

«Come è possibile non farsi commuovere dalla storia di uno scrittore di genio il cui unico romanzo non è stato pubblicato durante la sua vita e celebrato quasi istantaneamente dopo la sua morte? È la storia di un trionfo o di una sconfitta? Ho incontrato Il Gattopardo da giovane, vivevo sulla costa occidentale del Canada, venticinque anni fa. Da allora l'ho letto molte volte. La cosa più sorprendente è la sua struttura: il tempo scorre in modo strano nel Gattopardo. Per quanto riguarda l'uomo: tutto quello che sapevo di Tomasi era una vita venata di tristezza, la straordinaria scrittura, la mancata pubblicazione. Non sapevo nulla delle perdite, dei viaggi, del dominio della sua bellissima madre. Solo dopo molti anni ho scoperto una biografia di Tomasi di Lampedusa, ricca di dettagli; leggendola, ho notato diversi parallelismi tra la sua vita e la forma assunta dal Gattopardo. Alcuni momenti della sua vita potevano essere posti come un palinsesto sopra la struttura del romanzo: si arricchivano a vicenda. Questo sembrava voler dire qualcosa sul valore dell'arte, sulla vita e su come arte e vita siano inscindibilmente connesse. Quando ho percepito che un romanzo era possibile, è nato Casa Lampedusa».

Quanto c'è di biografico e di romanzato nel suo libro? Cosa ha scoperto della vita di Tomasi di Lampedusa che l'ha sorpresa?

«Aderisco ai fatti della vita di Tomasi come sono noti, ma questo, prima di tutto, è un romanzo. La finzione riguarda l'ingresso nella mente di Tomasi di Lampedusa, nelle sue emozioni, nelle speranze, nelle paure e nei sogni che avrebbe potuto provare mentre lottava per scrivere il grande romanzo, affrontando la realtà della sua malattia. Non mi illudo che la mia versione di Tomasi sia l'unica possibile, spero sia quella più plausibile. Credo ci sia una verità spirituale nel ritratto che ho creato. Sono rimasto particolarmente sorpreso di quanto fossero poveri Tomasi di Lampedusa e sua moglie nell'ultimo decennio della sua vita».

Che senso ha leggere oggi Il Gattopardo?

«Beh, il nostro mondo non è poi così diverso da quello. Anche la nostra è un'epoca di perdite e di sconvolgimenti. Le persone continuano a guardare a un'età dell'oro immaginaria, sono allarmate dal cambiamento, temono di perdere il loro posto nel mondo. Tomasi di Lampedusa ha scritto di queste paure, ma teneva in sospetto la nostalgia. Il suo romanzo è ambivalente riguardo al potere e alla fragilità umana, perché l'autore ha compreso la natura del proprio declino. In guerra aveva perso tutto; avrebbe potuto perdersi anche lui, tra i meandri di una fantasia amara e la memoria degli anni passati. Invece, vide quanto era imperfetto ciò che aveva perduto. Rifiutava di assolvere se stesso e gli altri. In un'epoca in cui la verità è sotto assalto, il suo romanzo rappresenta uno sforzo nel cercare di vedere chiaramente le cose come sono».

Qual è stato l'episodio del romanzo più difficile da scrivere?

«La seconda parte, che descrive il primo viaggio di Tomasi a Palma di Montechiaro. Era necessario, a quel punto della scrittura, introdurre molti temi che il romanzo avrebbe esplorato in seguito: la perdita, la dissoluzione del potere familiare, il successo letterario del cugino Lucio, il dolore della madre per la morte delle sorelle, l'amore ambiguo verso questa madre... E tutto doveva essere svolto in modo organico, coagulandosi con il resto».

Lei nasce poeta, è poeta. Cosa significa per un poeta scrivere un romanzo?

«Un amico scrittore in Canada ha descritto questo romanzo come poesia camuffata da fiction. Ma poesia e narrativa sono davvero distinte. La misura della poesia è la sillaba, la parola, il verso. La misura della prosa è la frase, il paragrafo. La descrizione è la prima linea della narrativa; il linguaggio quello della poesia».

Il libro e l'incontro che hanno cambiato la sua vita?

«Avevo dodici anni, ero solo, brutalmente bullizzato a scuola. Un insegnante mi ha visto, mi ha preso da parte, dicendomi di leggere Il mago di Earthsea di Ursula K. Le Guin. Durante l'ora di pranzo sedeva con me, parlandomi del romanzo e del suo significato. Devo la direzione che ha preso la mia vita alla gentilezza di quell'uomo».

In che modo la letteratura italiana ha influenzato la sua opera?

«Ho amato i poeti. Montale mi ha ossessionato intorno ai vent'anni. Dante ha tutelato i miei trent'anni. Dino Campana, Valerio Magrelli, Umberto Saba, Gabriele d'Annunzio sono radicati nel mio lavoro. C'è una sinuosa chiarezza nella letteratura italiana che mi pare diversa da qualsiasi altra tradizione letteraria, un equilibrio tra bellezza e pensiero».

Mi descriva Tomasi di Lampedusa in tre aggettivi.

«Beffardo, tormentato, vigile».

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