Muccino torna a dirigere un intreccio di storie sentimentali in "A casa tutti bene". Dopo la lunga parentesi lavorativa oltreoceano, pare aver deciso di esplorare nuovamente i temi e le atmosfere che lo portarono al successo commerciale con titoli come "L'ultimo bacio" e "Ricordati di me". Nel nuovo film mette in scena una famiglia allargata, solo apparentemente felice, facendola implodere sotto lo sguardo dello spettatore.
Pietro (Ivano Marescotti) e Alba (Stefania Sandrelli) vivono ormai da anni su di un'isola in cui hanno un ristorante ben avviato. In occasione delle loro nozze d'oro ricevono la visita dei figli, con i relativi compagni, bambini e cugini. Quando una mareggiata blocca l'arrivo dei traghetti, si prospetta una convivenza forzata che porterà tutti i presenti a dar sfogo a conflitti latenti e vecchi rancori.
Il confine tra l'avere uno stile riconoscibile e l'essere la continua replica di se stessi è assai labile ma i fan della prima ora del regista saranno lieti di ritrovarlo alle prese esattamente con le stesse dinamiche che sviscerava quindici anni fa. Il film presenta non solo la summa di tutti i topoi della filmografia di Muccino, ma anche i suoi pregi e difetti. Personaggi nevrotici alla disperata ricerca della felicità, immersi in un nugolo di rancori, si accapigliano in numerose scene madri. L'isteria condivisa talvolta appare gratuita ma è proprio l'essere sopra le righe a rendere alcune scene emotivamente dirompenti. L'indagine sulle relazioni e sulle varie età della vita, nelle opere di Muccino, non è mai raffinata ma presenta una sua dolcezza, ancorché sgraziata, in grado di affascinare una fetta di pubblico.
"A casa tutti bene" è un film corale dall'incipit un po' confusionario ma, una volta addentrati nelle dinamiche disfunzionali tra i vari personaggi, è probabile si ritrovi qualcosa del proprio vissuto, tanta è la varietà di situazioni presentate. Tra baci di Giuda ed effusioni clandestine, relazioni fallite e altre appena sbocciate, si va componendo un mosaico in cui sotto la lente d'ingrandimento passano tre generazioni. Il carico di gelosie, sofferenze finanziarie, tradimenti, inquietudini esistenziali, paure e nervosismi è suddiviso tra tutti i personaggi: ognuno ha un fardello di fallimenti e debolezze che emerge nitido e lo porta a litigi furibondi.
Perché la famiglia grande e felice è una chimera, secondo la visione di Muccino: si può fingere in nome delle apparenze e del quieto vivere che tutti siano sereni e vadano d'amore e d'accordo, ma mai troppo a lungo. C'è un tempo limitato oltre il quale le maschere cadono rivelando il vero volto di chi le indossava.
Anche se l'ispirazione dal punto di vista cinematografico è alta, certi titoli di Scola ("La famiglia" e "C'eravamo tanto amati") e di Monicelli ("Parenti serpenti"), l'intreccio si dipana con un meccanismo da soap opera. Nel gioco al massacro condito da inserti di musica leggera italiana d’antan, l'attenzione è tenuta desta dalle performance attoriali di un nutrito numero di celebrità del nostro cinema (Favino, Accorsi, Solarino, Sandrelli, Tognazzi, Crescentini, Gerini e tanti altri). Claudia Gerini, bravissima, regala il momento più autentico del film, mentre un'ilarità involontaria accompagna le scene con Stefano Accorsi, che deragliano su dialoghi melensi, artificiosi. Purtroppo la colonna sonora enfatica di Nicola Piovani finisce per amplificare proprio le situazioni a rischio caricatura.
"La famiglia è il nostro luogo di partenza, di fuga e di ritorno" dice l'incipit del film e
quella disegnata da Muccino si rivela un crogiolo di sentimenti spaesati, un monumento all'ipocrisia e alla finta serenità in cui gli unici affetti duraturi sono tali grazie ai compromessi.
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