Se avete dei figli che pensano che Tangentopoli sia un videogioco o che Fukushima sia un piatto giapponese, ecco, provate a buttargli lì il nome Ossi di seppia. Non devono neanche far la fatica di accendere la tv, basta che clicchino su RaiPlay dal loro iPad o telefonino. Ossi di seppia è uno di quei prodotti che ti riconciliano con la parola «servizio pubblico». Consigliato sia per chi vorrebbe vedere i propri figli un po' più acculturati sia per chi vuole rispolverare la sua di memoria.
Sulla piattaforma della Rai sono disponibili 16 puntate (dal delitto di Cogne al caso Regeni al metodo Di Bella a Papa Wojtyla), altre vengono caricate una a settimana, per tutto l'anno. Quella disponibile da oggi è dedicata ad Ayrton Senna e all'incidente che gli è costato la vita 27 anni fa a Imola, con il racconto del giornalista Giorgio Terruzzi. Ma non dite ai vostri ragazzi che si tratta di documentari. Prima di tutto perché sbuffano. Poi, perché non lo sono. Piuttosto sono un tentativo di superare il concetto di documentario. Certo, ci sono immagini di repertorio (prese dalle teche Rai), testimonianze, fotografie, ma proposte in una chiave diversa: la memoria collegata al presente.
E nel presente c'è il Covid, lo si affronta non dal punto di vista giornalistico o dei bollettini medici, ma si fa un parallelo tra le situazioni di adesso e quelle del passato.
Esempio: l'ultima puntata su Chernobyl era incentrata sulla storia di Diana. Pensate: da bambina ha vissuto l'incubo del disastro nucleare, rimasta orfana e adottata da un famiglia italiana di Codogno si è trovata, 35 anni dopo, nella prima zona rossa del Coronavirus. Clausura, tute bianche, mascherine, notizie frammentarie, paura, allora come adesso.Quella su Chernobyl è stata una delle puntate più viste della serie, insieme a quella dedicata al disastro della centrale nucleare di Fukushima. Ma tutta la «non-fiction» è il prodotto che ha registrato più utenti nella storia di RaiPlay. Un risultato di successo per la piattaforma guidata da Elena Capparelli e per la casa produttrice 42° Parallelo. «L'obiettivo - spiega Mauro Parissone, direttore editoriale della società - è catturare l'attenzione dei Millennials e della generazione Z: invogliarli a conoscere il recente passato, i fatti importanti che non hanno visto o hanno sentito distrattamente. Perché non è possibile affrontare il futuro senza conoscere il passato. Abbiamo scelto fenomeni paradigmatici come, per esempio, la diossina di Seveso, Chernobyl o la storia di Carlo Urbani (il medico che per primo identificò la Sars) per esplorare i sentimenti che questi cambiamenti producono».
Ma per coinvolgere i ragazzi bisogna parlare come loro: pochi racconti didascalici, testimonianze ad effetto, musica.
«Infatti noi puntiamo su un linguaggio emozionale, filmico, immersivo, sporcato ed interrotto anche dal fotogiornalismo». E poi si sfruttano ovviamente i social: clip, video, teaser per catturare l'attenzione e rinviare alle puntate (di una ventina di minuti) chi è interessato.
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