Difficile che Alex Britti deluda le aspettative e non ci riesce neppure stavolta con il nuovo singolo «Una parola differente». È uscito in questi giorni quasi a bruciapelo senza che siano in previsione un nuovo disco né, tantomeno, un tourn. «Ce l’avevo in testa e l’ho registrato», spiega lui che nella sua carriera ha un filo conduttore essenziale: la chitarra. Non a caso è considerato uno dei migliori chitarristi italiani in circolazione, sicuramente l’unico che riesca a inserire assoli rock o blues anche in brani che poi finiscono in alta rotazione sui principali network. Ad esempio, stavolta in «Una parola differente» c’è un fraseggio grezzo e ripetuto che ha una marcata radice blues e poi un assolo che nella svisa finale ricorda addirittura lo stile di Eddie Van Halen. «Il titolo di questo brano - spiega - combacia con quanto viviamo in questo periodo, nel quale pensiamo sempre più ad apparire e sempre meno a vivere a fondo le nostre emozioni». Dicono sia anche colpa dei social. «In realtà tanti li incolpano ma siamo noi che li frequentiamo e li consultiamo. Nelle foto le donne sono tutte belle, gli uomini tutti fighi. L’importante sarebbe rendersi conto che i social non sono il male, ma devono essere considerati semplicemente un gioco». In sostanza, sin dai tempi in cui apriva i concerti di Billy Preston o BB King, Alex Britti, romano del 1968, è uno che gioca la propria partita senza vestire una casacca ben precisa. Insomma è un solista.
Lo era nella prima parte della carriera e lo è rimasto anche quando ha macinato un singolo di successo dopo l’altro. Da «Solo una volta» del 1998 passando per «La vasca» del 2000 oppure «7000 caffè» che un testo alla sua maniera: ironico, scatenato e pure un po’ goliardico. Un musicista che spariglia le carte, pur rimanendo legato a una matrice sonora tradizionale e legata ai suoni del Mississippi e del Delta del »Blues. E lo ha dimostrato anche durante il Concertone del Primo Maggio, quello che ha chiuso suonando da solo, lui e la chitarra, in una Piazza San Giovanni deserta di pubblico ma piena di note. Un effetto strano e potentissimo che ha colpito molti. «Ho portato i miei amplificatori, li ho accesi e sin dalle prove sentivo che il suono era quello giusto, con le note che rimbalzavano sui palazzi e giravano per la piazza deserta. Poi ho messo il volume a cannone e via, anche se c’era molta negatività ovviamente a causa dell’epidemia. Spero di averla spazzata via per qualche minuto». Molto americano. Anzi molto british, no «Brittish» come la canzone divertimento che ha pubblicato qualche mese fa con la produzione (anche) di Salmo.
Anche il ritornello era una citazione divertita del British della Dark Polo Gang e conferma che Britti è uno che si prende poco sul serio quasi sempre, salvo quando suona la chitarra: «Oggi sono il cosiddetto “cantante famoso” ma allora, quando ero ragazzo, non è stato facile scegliere di non imboccare la strada del “turnista“ ossia del musicista che va in studio a suonare per altri. Ho scelto la strada più difficile e ho fatto comunque tanta fatica». E, difatti quando parla, conserva quella vocazione da musicista molto attento alla qualità dei suoni e degli arrangiamenti. «Fino al 2003/2005 c’è stata una altissima ricerca sonora, poi c’è stato un appiattimento e ora mi accorgo che dei dischi interessa sempre meno». Figurarsi ora, che la musica è in letargo e le prospettive sono incerte: «Come tutti gli artisti, ho una squadra che lavora con me e siamo tutti fermi.
Sono preoccupato soprattutto per loro: io qualche mese senza stipendio posso resistere, loro molto meno, speriamo davvero che arrivi qualche segnale nei prossimi giorni per il nostro settore che non è così marginale come a qualcuno fa comodo credere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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