Al cinema arriva “Una vita in fuga”: provaci ancora Sean (Penn)

Tratto da una storia vera, quella della figlia di un rapinatore e falsario. Un mélo ridondante sul disagio familiare e sugli effetti collaterali del sogno americano

Al cinema arriva “Una vita in fuga”: provaci ancora Sean (Penn)

Una vita in fuga, il nuovo film di Sean Penn, è finalmente approdato in sala dopo essere stato presentato allo scorso Festival di Cannes.

Ispirato al libro autobiografico scritto dalla giornalista Jennifer Vogel, il film è un viaggio nella disillusione di una ragazza che prende coscienza di chi sia davvero suo padre. Il racconto coincide con un lungo flashback che vede l’uomo, oramai divenuto uno squallido truffatore, esser stato in origine un vero principe azzurro per la figlioletta. Era un’epoca, quella dell’infanzia della piccola, in cui lui, con fare amorevole e giocherellone, era in grado di rendere tutto una grande avventura. Spirito ribelle e anticonformista, le insegnava l’importanza della libertà e l’educava a credere nei sogni. Peccato che poi, di punto in bianco, l’abbia piantata in asso per andare in cerca di un avvenire diverso, lasciandola catapultata dalla vita in fattoria con Chopin sul giradischi a quella in ostaggio di una madre alcolista. Dopo un’adolescenza in fuga dai tentativi d’abuso da parte del patrigno e il rifugio nel vagabondaggio e nelle droghe, Jennifer riuscirà a far pace con i ricordi e con la verità circa i propri genitori, capace finalmente di prendere in mano la propria esistenza.

“Una vita in fuga” racconta come si possa e si debba venire a patti con la realtà e accantonare la magia elegiaca che avvolge talvolta il passato, specie quello vissuto con l’innocenza del bambino. Sean sceglie sua figlia Dylan Penn nella parte della protagonista: bella come la madre, Robin Wright, e dalla recitazione tutto sommato misurata in quello che è un film invece fin troppo sopra le righe. “Una vita in fuga” è infatti un melodramma che insegue il pathos in maniera così smaccata da finire paradossalmente col non appassionare mai. A colpi di panoramiche sull’America rurale, con sottofondo di chitarra country e personaggi vittime di se stessi in primo piano, Penn cerca di dare alla pellicola un taglio da indie americano.

Malgrado le interpretazioni siano apprezzabili, vengono inserite in un ritratto padre-figlia la cui intimità sofferta appare urlata. Dimentico della potenza del sussurro e del suggerito presente invece in altri suoi film, Sean Penn sposa stavolta la scelta di un sovraccarico sentimentale che non paga: affetti e dolori si mischiano in maniera spesso confusa in scene ridondanti che non si distinguono né per originalità né per autenticità.

Alla lunga la storia di queste solitudini unite dal Dna finisce col sembrare stucchevole e forzata. Da spettatori, abbiamo già visto le stesse cose realizzate con intenti meno ricattatori.

I lirismi panoramici fin troppo insistiti, la sovrabbondanza di scene madri, i malinconici filmati in super8 in cui mitizzare il passato, tutto appare parte di un climax emotivo senza fine e, proprio per

questo, di mancata incisività.

“Una vita in fuga”, lungi dall’essere un brutto film, resta un’opera di media qualità, di quelle che ne ricordano molte altre, lontana quindi dalle vette autoriali del suo regista.

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