Il cinema italiano non è in forma. Ma a Venezia recita benissimo

Il cinema italiano non è in forma. Ma a Venezia recita benissimo

da Venezia

Solo nella selezione ufficiale della 76ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica ci sono 24 registi italiani sparsi nelle varie sezioni con lungometraggi, mediometraggi e cortometraggi. Poi vengono le sezioni parallele e autonome come la Settimana Internazionale della Critica con 10 registi e quella delle Giornate degli autori con 9. Ben 19 del totale sono coprodotti da Rai Cinema senza la quale ormai il piano finanziario di un film non viene chiuso. Un esercito con le armi un po' spuntate, dal momento che la quota del cinema italiano nel 2019 è scesa al 17,01 per cento (ancora peggio del 2017, annus horribilis).

Ma, come ogni anno, il Lido di Venezia si trasforma nella cartina di tornasole della salute del cinema italiano. Qui, sabato prossimo, gli stati maggiori dell'industria, con il Sottosegretario uscente ai Beni Culturali Lucia Borgonzoni, Francesco Rutelli per l'Anica, Mario Lorini per gli esercenti, Luigi Lonigro per i distributori, Francesca Cima per i produttori e Piera Detassis per i premi David di Donatello, terranno una conferenza stampa con un lungo titolo che è già tutto un programma (paradossale): «La migliore estate degli ultimi 6 anni, primo bilancio di Moviement, un esperimento riuscito». Dove scopriremo che il pubblico è tornato un po' più nelle sale quest'estate per la felice congiuntura dell'uscita di una decina di blockbuster statunitensi (con Il Re Leone ultimo arrivato ma primo nei sensazionali incassi), mentre gli italiani hanno latitato, tranne un pugno di coraggiosi (volenti o nolenti) capitanati dal veterano Pupi Avati che lo scorso fine settimana si è posizionato terzo con Il signor diavolo, l'esordiente Roberto De Feo con The Nest (Il nido), ottavo (ma il suo interessante thriller/horror è uscito da due week-end) e Duccio Chiarini con L'ospite, decimo.

Una mancanza di coraggio che in qualche modo viene rispecchiata al festival, dove il suo direttore, Alberto Barbera, ha scelto di andare sul sicuro piazzando in concorso le tre «M» ossia, in ordine di apparizione, Mario Martone con Il sindaco del rione Sanità da Eduardo De Filippo, con Francesco Di Leva e Massimiliano Gallo; Pietro Marcello con Martin Eden da Jack London con Luca Marinelli; Franco Maresco con La mafia non è più quella di una volta, in cui riesce a far sorridere a denti molto stretti su Cosa Nostra e i suoi delitti fotografati da Letizia Battaglia. Certo, a livello di generi, al festival prevalgono quasi sempre i film drammatici, perché è stato più unico che raro il caso, lo scorso anno, di Ammore e malavita dei Manetti Bros, musical sui generis.

Così, ecco nella sezione «Orizzonti» due opere che, fin dalle prime immagini mostrate, hanno lo statuto di film d'autore doc, ossia Sole di Carlo Sironi (figlio del regista di Montalbano da poco scomparso) e Nevia di Nunzia De Stefano, l'ex moglie di Matteo Garrone. Il primo è un drammatico ritratto di una ragazza polacca incinta che viene in Italia per vendere la sua bambina, il secondo è una storia di formazione, in parte autobiografica, di una diciassettenne che vive nel disagio dei container post-terremoto nel quartiere Ponticelli di Napoli. Mentre nella sezione «Sconfini» troviamo Effetto domino di Alessandro Rossetto con Maria Roveran, Marco Paolini e Lucia Mascino, che racconta i sogni industriali infranti del Nord Est.

Fuori concorso sono invece confinati due titoli che hanno cast importanti e che giocano anche con i toni più leggeri della commedia, Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores dal romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas con il trio di protagonisti, Claudio Santamaria, Valeria Golino e Diego Abatantuono, e Vivere di Francesca Archibugi con Micaela Ramazzotti, Adriano Giannini e Massimo Ghini.

Qui a Venezia, per trovare un vero film di genere che non sia quello del passato nei documentari sull'horror italiano degli anni Sessanta rievocato da Steve Della Casa oppure sul cinema di Claudio Caligari o su quello di Pietro Vivarelli o di Lucio Fulci, bisogna spostarsi nella sezione autonoma delle «Giornate degli Autori» che presenta in concorso 5 è il numero perfetto del fumettista Igort che con Toni Servillo, Carlo Buccirosso e Valeria Golino ci porta nella Napoli degli anni '70 in una curiosa storia di guapperia. Mentre, sempre alle «Giornate degli Autori», spunta una commedia, Mio fratello insegue i dinosauri, tratto dal romanzo omonimo di Giacomo Mazzariol, che riesce a giocare con il tema della sindrome di Down grazie a una divertente coppia di genitori interpretati da Alessandro Gassmann e Isabella Ragonese.

Alla fine il titolo più insolito sembra quello proposto in concorso nella «Settimana Internazionale della Critica»,

Tony Driver di Ascanio Petrini, con il protagonista Pasquale che dagli Stati Uniti rientra nella sua Puglia per vivere in una grotta a Polignano a Mare. Una storia di emigrazione al contrario che sembra quasi fantascienza.

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