Bernardo è un uomo affascinante, di successo, pieno di amici, sempre alla frenetica ricerca della sua libertà. Per un brutto scherzo del destino un giorno tutto cambia, mettendolo di fronte a una scelta: accettare quello che è successo o diventare un altro, per riprendersi quello che la vita gli ha tolto. Una decisione dalla quale non potrà tornare indietro. Reduce dal successo di “Un giorno all’improvviso”, Ciro D’Emilio si è messo in gioco con un’opera seconda ambiziosa, fuori dagli schemi per il cinema italiano, che prende posizione e lo fa senza sconti. “Per niente al mondo” è tra le sorprese della stagione cinematografica, un film tutt’altro che buonista e destinato a mettere in discussione lo spettatore.
“Racconto temi ed elementi che sono molto miei”, confida Ciro D’Emilio ai nostri microfoni, rivendicando la libertà dell’artista nel suo percorso di ricerca. “I miei film sono molto più importanti di me e della mia carriera”, il suo credo:“Spesso si fa l’errore di pensare che un autore abbia un ego e una visione ombelicale tale da dover necessariamente violentare ogni creatura filmica affinchè sia più simile a lui. Io non mi pongo il problema”.
"Per niente al mondo" prende spunto da un fatto di cronaca…
“Quando abbiamo iniziato lo sviluppo di quello che doveva essere il nostro secondo film, io e Cosimo Calamini ci siamo interrogati su che tipo di storia volevamo raccontare. Io avevo saturato un po’ l’interesse verso una storia di relazioni tout court, ero alla ricerca di qualcosa di diverso, anche se ovviamente non rinnego quanto fatto in precedenza. Come accade nel percorso di un autore, ero alla ricerca di nuovi stimoli. Facendo una ricerca, abbiamo incontrato diversi casi di malagiustizia. Tra questi, il caso di un imprenditore al confine tra Veneto e Friuli: aveva subito un’accusa e una detenzione ingiusta, con un ritorno in libertà da innocente macchiato da un pregiudizio infangante, al punto da radere al suolo la sua dignità. Da lì è nata la domanda: ma se un uomo arrestato ingiustamente, una volta tornato in libertà, decidesse di riprendersi tutto quello che gli è stato portato via, anche andando contro la legge? Abbiamo sfruttato gli strumenti del genere, senza fare un film di genere. Un racconto emotivo, interiore, utilizzando la malagiustizia per sviscerare un tema a me molto più caro, ovvero quello della fiducia”.
Passa dal tema della cura di “Un giorno all’improvviso”, al tema della fiducia…
“Ho provato ad analizzare quanto tutto quello che abbiamo costruito negli ultimi trent’anni possa distruggerci, soprattutto se capita un incidente di percorso. La caduta totale di ogni fiducia, che sia nella giustizia o nella cronaca, non permette più un garantismo vero, ma pregiudica l’esistenza di ognuno di noi. Non volevo fare un film buonista, paraculo o furbo nel trattare un tema come questo. Ho cercato di raccontare un contenuto più universale per permettere allo spettatore di identificarsi in Bernardo, senza compatirlo. Perché ciò che accade a lui, può capitare a tutti noi. Il tentativo è stato quello di togliere alla borghesia dell’Occidente qualsivoglia certezza sul possedere qualcosa o sull’essere qualcosa, tutto ciò che ti dà un’identità. È un microcosmo in cui le relazioni si rivelano come un grande Truman Show”.
Difficile non pensare al giustizialismo tornato in auge negli ultimi anni. La sua visione è molto cupa, ma siamo peggiorati noi come esseri umani…
“La storia di 'Per niente al mondo' è stata scritta prima della pandemia, ma il film è stato girato dopo. È ovvio che una nuova lettura emotiva ci ha colpiti anche inconsciamente. E non ha fatto che fortificare quel senso di isolamento di Bernardo. Mi interessava mantenere alcuni elementi propri della mia ricerca – il punto di vista unico dalla prima all’ultima scena, temi come l’ascesa e la caduta del mito oppure della famiglia perfetta o ancora il prezzo da pagare per diventare grandi – ma tutto il resto è visione e lettura di questa storia. Qui ho inserito spazi e luoghi: se li avessi esclusi, come nel mio primo film, avrei mantenuto una visione ombelicale. Per me lo stile si piega alla forma: questi spazi e questi luoghi andavano sviscerati perché sono loro che giudicano e pregiudicano la vita di Bernardo”.
Rispetto a “Un giorno all’improvviso”, qui troviamo scelte innovative dal punto di vista tecnico. Il montaggio è straordinario…
“Gianluca Scarpa al montaggio si conferma essere un enfant prodige del cinema italiano. Sono contento di lavorare con lui da molti anni. Ma penso anche a Bruno Falanga per le musiche, a Salvatore Landi alla fotografia, ad Antonella Di Martino alla scenografia e alla new entry Antonella Di Martino ai costumi. La sceneggiatura era già scritta, il film ha potenziato quella non linearità e quel viaggio che fa Bernardo. Ricostruendo i tre momenti della vita di Bernardo, abbiamo ragionato su tre stadi della vita del personaggio: un Truman Show patinato dove c’era una prevalenza di luce diurna; un secondo stato in cui l’immagine si sporca, diventa più polverosa e più marcia, e dove abbiamo cambiato lenti utilizzando lenti anamorfiche, per cambiare la proporzione dei personaggi nello spazio; terzo, una contaminazione delle prime due fasi. Poi, il piano sequenza finale di sette minuti”.
C’è una visione tetra della vita in carcere...
“Assolutamente sì. È stato il contraltare del Truman Show della prima parte. Cambiare prospettiva con le lenti anamorfiche e avere un’illuminazione che trasuda solo da piccole finestrelle andava a potenziare la discesa negli inferi di questo uomo. Ma è anche in ciò che accade: la prima scena in cui Bernardo parla con Elia (Boris Isakovic, ndr), avviene mentre lui sta defecando. Una cosa mortificante per un uomo che viene da un altro mondo, quella immagine fa capire in che buco nero stia finendo”.
Qualche tempo fa lei si era detto fiducioso sulla nuova generazione di registi. Oggi a che punto siamo?
“Fino al 2020 – prima della pandemia – ero certo di una crescita, di una rinascita, con spazi dove poter comunicare e mostrare il nostro punto di vista. Io credo che oggi esista ancora questa possibilità di scardinare clichè e di mostrare uno sguardo nuovo sul mondo. Ma il post-Covid ci pone davanti a un interrogativo che riguarda tutti: come dare ancora senso alla sala? La risposta sta nel raccontare storie necessarie, nel continuare ad essere onesti con gli spettatori. Bisogna smetterla di pensare che si possano fare ancora film buonisti o furbi. Io ho provato attraverso la malagiustizia a spostare l’obiettivo sul tema della fiducia: è un tentativo sano di riavvicinare il pubblico alle sale in maniera onesta”.
Impossibile non citare la straordinaria interpretazione di Guido Caprino nei panni di Bernardo. Che lavoro avete fatto?
“Lui ha amato il personaggio di Bernardo fin da subito. Io ho scritto il film pensando a lui. Al di là della stima che già c’era, lavorando con lui ho scoperto tantissime altre cose che non hanno fatto altro che confermare questa scelta. Guido è un attore molto esigente, preparatissimo, che non si accontenta. Lui scardina il testo per cercarne una visione nucleare, ma vuole che tutto diventi organico. È straordinario perché è uno dei pochi attori italiani che riesce a lavorare con il dolore. Riesce ad entrare all’interno dei substrati della sofferenza umana e ci gioca a tennis: è una cosa rara e preziosa. Ma è anche generoso: si dona completamente agli altri interpreti”.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
“Lunedì inizierò le riprese di una serie italiana per una piattaforma, uscirà in 200 Paesi, ma non posso ancora anticipare nulla. Sono molto contento. Inizierò a pensare ad un nuovo film a gennaio, quando finiranno le riprese.
E spero di poter seguire ‘Per niente al mondo’ nei vari appuntamenti in giro per l’Italia: amo partecipare agli eventi per accompagnare i film, è stato un punto di forza per noi registi della nuova generazione”.Produzione Vision Distribution e Lungta Film in collaborazione con Sky e Rai Cinema, “Per niente al mondo” di Ciro D’Emilio è nelle sale italiane con Vision Distribution.
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