L'arcipelago delle Banda, un gruppo di minuscole isole perse tra l'Oceano Indiano e il Pacifico, è l'unico luogo del pianeta dove cresce l'albero della noce moscata, una delle spezie più preziose di cui le grandi potenze coloniali si contendevano il monopolio. Nel 1621 gli abitanti di Selamon, un villaggio di questo gruppo di isole in Indonesia, vengono massacrati, annientati senza pietà. Questa feroce storia di conquista e sfruttamento è raccontata da Amitav Ghosh nel suo ultimo libro La maledizione della noce moscata (Neri Pozza, pagg. 368, euro 19). Una parabola della furia devastatrice del colonialismo occidentale e delle sue irreversibili conseguenze fino ai giorni nostri. Ma il genocidio dei bandanesi cancellò dalla faccia della Terra anche la loro tradizione di armoniosa unione con la natura. Nel potente saggio di Ghosh, i drammi del nostro mondo globalizzato sono soltanto temporalmente lontani, in realtà la maledizione della noce moscata è molto più vicina a noi di quanto si possa pensare. Come spiega in un incontro a Roma, dove ci accoglie con serenità ed equilibrio, con indosso un abito tradizionale indiano nero.
Il suo ultimo libro La maledizione della noce moscata parla dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura. Se questo atteggiamento non cesserà, dove ci porterà?
«Il motivo per cui ha suscitato in me tanto interesse la vicenda della noce moscata e delle isole Banda è legato al fatto che è ormai un esempio molto antico di quella che gli anglofoni chiamano la maledizione delle risorse. Cioè, ci sono elementi della natura che possono portare grandissima felicità, prosperità e benessere a un Paese, ma che finiscono per causarne la completa distruzione, il declino. Ci siamo trovati a calcare questo meraviglioso pianeta, pieno di ricchezze e risorse, ma lo abbiamo sfruttato fino al punto che il pianeta adesso si rivolta contro di noi e sta mettendo in atto tutta la sua potenza distruttiva».
Le conseguenze della colonizzazione potranno estinguersi una volta per tutte?
«La furia colonizzatrice ha preso piede un po' da tutte le parti del mondo, compresa l'India o la Cina. Per gli europei la colonizzazione è stata resa possibile dal fatto che si sono trovati a disposizione questo pianeta dove le popolazioni indigene erano indifese e quindi sono state facilmente sopraffatte da loro, che si sono impossessati delle loro terre e delle loro risorse. Per quanto riguarda l'oggi, nell'India, che è già un Paese molto popolato e le cui foreste abitate dai nativi vengono sempre più stravolte, i nativi vengono sfollati, sfrattati e messi in quelle che possono assomigliare alle riserve degli indiani d'America. Qui sono le élite dello stesso Paese, a colonizzare sempre di più la loro nazione. Lo stesso sta avvenendo in altre parti dell'Asia e in certe parti dell'Africa. È un'auto-colonizzazione, direi».
E che gioco ha avuto la macchina della propaganda per giustificare violenze e soprusi?
«Questo è un punto importante. È vero, si può affermare che è stata costruita una grande macchina, che lei chiama macchina di propaganda, ma possiamo chiamarla anche dispositivo di giustificazione. Nel XVI e nel XVII secolo la tesi era che i nativi delle Americhe erano esseri non umani, subumani, e tutta questa macchina ha reso possibile agli olandesi invadere e conquistare Banda e sterminare la popolazione indigena. Io penso sia stata la violenza a portare a questa ideologia e non viceversa».
Oggi siamo alle porte di un nuovo ordine mondiale, se si tiene conto di cosa sta accadendo in Russia e in Cina. Cosa ci aspetta secondo lei?
«È chiaro che siamo di fronte a una transizione enorme sul terreno delle risorse e dell'energia che è accompagnata da una trasformazione geopolitica. È questo il dato tutto particolare della situazione odierna, ci sono due transizioni in corso simultaneamente e quindi è molto difficile saper dire in che modo il mondo vi si potrà adattare anche sul terreno psicologico. Nel senso che per i popoli europei sarà molto difficile accettare, digerire fino in fondo di non essere la civiltà più potente della Terra. E per quello che riguarda gli Stati Uniti posso soltanto dire che a mio modo di vedere opporranno tutta la loro resistenza fino all'ultimo a questo cambiamento».
Lei a un certo punto parla della guerra biopolitica...
«Per molti aspetti lo stesso cambiamento climatico è da considerare come un esempio di quella che io ho chiamato guerra biopolitica. E nel libro analizzo a fondo questo, cercando di trovare delle analogie tra ciò che è successo nel XVI e nel XVII secolo in cui gli europei hanno usato quella che a buon diritto possiamo chiamare ingegneria ambientale sostanzialmente per soggiogare e distruggere molte popolazioni native. Gli effetti di questa ingegneria ambientale sono stati siccità, alluvioni, deforestazioni, incendi incontrollabili e quindi la scomparsa di molte specie naturali. È così che, a distanza di secoli, molti popoli del mondo stanno facendo esperienza del cambiamento climatico con inondazioni, bombe d'acqua, incendi. La differenza è che quello che sta accadendo adesso rispetto a ciò che è successo nel XVI o nel XVII secolo non mostra una delle due parti favorita o sfavorita. Nel senso che moriranno tanti poveri per questi cambiamenti climatici dovuti all'ingegneria ambientale, ma anche i super-ricchi muoiono o comunque soffrono. Pensi a quanto sta succedendo nel Midwest o in California, per quanto riguarda gli Stati Uniti. E pensi a quanto sta accadendo nel Sud-Ovest dell'Australia, parti del mondo che sono straricche. E non ultimo pensi anche alla stessa Italia. L'Italia è stata all'avanguardia nell'ingegneria ambientale e qui si stanno registrando una caduta della produzione agricola ed eventi climatici estremi. Basti pensare alle inondazioni nelle Marche».
Se l'albero della noce moscata potesse narrare la sua storia, cosa ci racconterebbe?
«Ci racconterebbe come è riuscita a sottrarsi
al controllo degli esseri umani. In prima battuta al controllo degli abitanti delle isole Banda, dei colonizzatori olandesi. Per poi diventare una sorta di entità globale che è riuscita a colonizzare gran parte del mondo».
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