Con la commedia "Il filo invisibile", la famiglia arcobaleno sbarca su Netflix

Commedia aderente alla contemporaneità che, lungi dal cadere in proclami ideologici, destruttura i pregiudizi con l'arma dello humor e della naturalezza

Con la commedia "Il filo invisibile", la famiglia arcobaleno sbarca su Netflix

Il filo invisibile, commedia italiana in uscita oggi su Netflix (dopo un’anteprima nelle sale durata tre giorni), è un film figlio del nostro tempo. Protagonista è infatti un nucleo familiare atipico, formato da due padri e un figlio adolescente.

Il regista Marco Simon Puccioni, qui anche alla scrittura del film assieme a Luca De Bei, costruisce un’opera in parte autobiografica che, al di là della peculiare situazione di partenza, esplora con humor e delicatezza i legami familiari, le difficoltà dell’adolescenza e cosa dell’amore sopravviva al tempo.

Leone (Francesco Gheghi) è un sedicenne che sta realizzando un video per un progetto scolastico. L’idea è di riassumere per immagini come i suoi due padri, Simone (Francesco Sciamma), proprietario di un ristorante, e Paolo (Filippo Timi), architetto, abbiano messo in piedi la loro famiglia arcobaleno di cui fa parte anche Tilly, madre genetica di Leone, la quale vive in America. Peccato che proprio la sera deputata al festeggiamento del ventesimo anniversario di coppia, si apra una crisi irreparabile. Complice un tradimento, la gioia lascia spazio alle tensioni e l’egoismo tocca vette di inusitata irrazionalità. La burocrazia rende già difficile a Paolo e Simone essere riconosciuti come legittimi genitori di Leone, figurarsi come si complicherebbero le cose di fronte a una separazione. In mezzo al dissesto familiare, il ragazzo è anche alle prese con la prima cotta (Giulia Maenza), nonché col pregiudizio che chi cresca con due padri sia per forza omosessuale. Proprio nell’età ibrida per antonomasia, in cui non si è più bambini e non ancora adulti, Leone vede il suo angolo di mondo andare a pezzi. A ricucirne assieme il tessuto affettivo sarà il filo del titolo, che si riferisce ad un legame sentimentale elettivo, superiore a quello biologico (la trama verte in buona parte anche su questioni di DNA).

“Il filo invisibile” è molte cose assieme. Se lo si guarda privilegiando la posizione del figlio, siamo in un coming of age che profuma di teen drama. Se si sposa più il punto di vista degli adulti, è una pellicola ilare in stile “Guerra dei Roses”. Di sicuro il regista ha trovato un modo leggero di mostrare dal suo interno un contesto che a molti può apparire “alieno”.

L’intenzione di fondo è chiara: normalizzare sullo schermo una situazione affettiva considerata atipica, in modo che la sua percezione cambi anche nella società. Rendere mainstream qualcosa di divergente rispetto al sentire comune significa, in casi come questo, legittimarne una volta di più l’esistenza e collaborare alla creazione di una comunità realmente inclusiva. L’operazione, se ne sposino o meno le finalità, è portata avanti in modo intelligente. “Il filo invisibile” si tiene lontano da proclami LGBT e dal mettere in discussione il concetto di famiglia tradizionale. Con una semplicità al tempo stesso disarmante e stimolante, sceglie semmai di metterci davanti al fatto compiuto: la maternità surrogata, legalmente permessa, qui è già avvenuta da anni e il film si guarda bene dallo sviscerarne le problematicità. Un’omissione che può disturbare, ma il focus del racconto non è lì e questa resta una commedia coraggiosa e con già fin troppa carne al fuoco.

Complice il gioco degli equivoci e l’ottima sinergia tra gli attori principali, “Il filo invisibile” destruttura certe deduzioni stereotipate ridendoci su. Affronta temi scottanti conservando freschezza e castiga i pregiudizi mettendo in scena l’universalità di certe dinamiche relazionali: la tenuta di una famiglia è infatti a rischio indipendentemente dal genere sessuale di chi la compone. La diversità nel film esiste solo nello sguardo di chi codifica la realtà secondo standard precisi ma pronti a vacillare davanti alla potenza dei legami affettivi.

L’ingrediente segreto dell’opera è la naturalezza. Non viene nascosto che alcuni, ragazzi compresi, siano in goffo imbarazzo la prima volta che si trovano di fronte a cotanti protagonisti.

Che ci siano preconcetti non solo è ritenuto comprensibile ma mai colpevolizzato: l’importante per il film è dare la possibilità a chi li nutre di accantonarli, il che nella vita avviene quasi sempre una volta a contatto ravvicinato con una realtà prima sconosciuta.

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