Così iniziò il linciaggio di De Felice

Il suo studio sul Duce dimostrò il consenso degli italiani al regime. Gli intellettuali di sinistra non glielo perdonarono

Così iniziò il linciaggio di De Felice

«Non penso sia esagerato sostiene Emilio Gentile affermare che Renzo De Felice è forse lo storico italiano del Novecento più noto in Italia e nel mondo». Non c'è nulla di esagerato. È la verità. Così come è incontrovertibile un'altra verità. Lo storico italiano più importante del Novecento è stato vittima di un'ostilità a tratti feroce, prolungata, che non si è placata neppure con la morte.Lo scontro fra la storiografia di sinistra e De Felice prende avvio con il 1965, data della pubblicazione del primo tassello della biografia di Mussolini: il «rivoluzionario». Tesi troppo innovativa per l'epoca. Mussolini un «rivoluzionario»? Ma scherziamo! La «vulgata antifascista», come De Felice definiva la storiografia dominante di stampo marxista, spesso collaterale al Pci, avvertì immediatamente il pericolo. Nel ventennio successivo alla fine della Seconda guerra mondiale, il Partito comunista aveva esercitato una egemonia sulla cultura italiana, riuscendo a condizionare anche larghi settori della cultura cattolica e liberal-democratica. Era giunto il momento di scardinare questa «vulgata». E De Felice la scardinò. Pezzo a pezzo. Lo fece attraverso migliaia di pagine dattiloscritte, battendo i tasti di una vecchia Olivetti portatile. Lavorando come un monaco, unendo artigianato e arguzia, la ridusse in poltiglia. Innanzitutto sotto il peso dei suoi volumi su Mussolini, sempre più densi, ai quali si unirono altre pubblicazioni e iniziative collaterali, e con l'aggiunta del suo magistero intellettuale.Il fuoco di sbarramento contro De Felice partì da subito. All'inizio assunse la fisionomia del fuocherello. Ma mentre la biografia di Mussolini cresceva a dismisura, diventando mastodontica, le fiammelle si trasformavano in incendio. Contro di lui si scatenò una campagna pubblicistica, storiografica, universitaria, politica tambureggiante e aggressiva. Al primo volume del Mussolini De Felice ne fece seguire altri due: stavolta sul «fascista» (1966-1968). Il punto di non ritorno arrivò con il 1974, anno della pubblicazione del primo volume di Mussolini «il duce», dedicato agli «anni del consenso» (1929-1936). Un tomo di novecentocinquanta pagine zeppe di documenti e note, corredato da una corposa appendice.L'obiettivo storiografico di De Felice era «comprendere» il fascismo non «condannarlo». Per la «vulgata» la questione del «consenso» era vitale. Gli italiani non avevano mai espresso alcun «consenso» nei confronti di Mussolini, che si era impossessato del potere con la forza e l'inganno. Occorreva reagire, poiché stava aprendosi la breccia decisiva. Dopo 10 anni di ricerche attorno al pianeta Mussolini, il vento delle polemiche investì De Felice. E lui giocò d'anticipo. Un altro mattone della storia del fascismo e dell'Italia fascista era stato piazzato. Ma per mettere definitivamente le carte in chiaro aveva bisogno di uno strumento agile. Lo trovò nell'intervista sul fascismo rilasciata ad un brillante storico americano, Michael A. Ledeen. Un volumetto essenziale 115 pagine uscito presso Laterza nel luglio del 1975. Una bomba! Un successo editoriale, a dicembre giunto alla quinta edizione. Le «vestali della vulgata» persero il controllo, riempiendo le pagine dei giornali di indignati commenti. Si poteva far finta di ignorare, o rintuzzare blandamente, la tesi che il fascismo fosse un regime «rivoluzionario». Ma la questione del «consenso» era troppo. Il sociologo Franco Ferrarotti su Paese sera rimproverò De Felice di considerare il fascismo un capitolo concluso del Novecento. Grave errore, perché De Felice con la sua idea di «fascismo marmorizzato» non vedeva le diramazioni politiche e le relative conseguenze politiche sull'Italia del 1975. Trattare il fascismo asetticamente, alla maniera di De Felice, era un errore. L'interpretazione defeliciana venne bollata da Leo Valiani, sul Corriere della sera, di insensibilità morale. Paolo Alatri sul Messaggero imputò a De Felice incompetenza storiografica. Il colpo più duro lo assestò Nicola Tranfaglia. Su Il giorno scrisse che nell'intervista De Felice sosteneva tesi pericolose, capaci di indurre nelle giovani generazioni gravi guasti. La rivista Italia contemporanea promulgò addirittura un appello contro la «storiografia afascista» e il «qualunquismo storiografico» di De Felice, «ritenendoli indizio di un orientamento storiografico e culturale che ormai scopre apertamente i suoi risvolti politici, travasando nel campo storiografico le strumentalizzazioni della teoria degli opposti estremismi». Insomma, per farla breve, dietro le tesi di De Felice si nascondevano oscure mire politiche. A partire dalla riabilitazione storica del fascismo.In realtà De Felice metteva nero su bianco verità oggi consolidate. Ma che all'epoca erano, per il settore dominante della cultura storica e politologica italiana, insopportabili. De Felice divenne così il mostro da abbattere; l'intellettuale da emarginare. Nasce da lì, da quell'astiosa polemica, il ritratto del pericoloso «revisionista». Lo «scandaloso biografo» di Mussolini subì contestazioni di ogni genere. Giornali, riviste, saggi, cattedre universitarie: tutto venne impiegato contro De Felice. Chi scrive è stato suo studente nei primi anni '80 a Scienze politiche all'Università La Sapienza di Roma, e ricorda il diffuso fastidio di molti studenti, le frequenti interruzioni delle lezioni con domande polemiche, fogli e cartelli denigratori nelle bacheche, sino alle aperte contestazioni. Ormai gravemente malato lo storico subì un attentato incendiario nella sua casa di Roma, a Monteverde. La schiera degli avversari di De Felice era composita. E rumorosa. Ma De Felice non se ne preoccupò. Il prestigio suo e delle sue ricerche cresceva in Italia e all'estero. Quello intellettuale e morale dei suoi avversari si sbriciolava. A rileggere certe sciocchezze scritte su De Felice viene da sorridere. Sotto le macerie del crollo del comunismo c'è rimasta la «vulgata», le sue bugie e la sua arroganza. Dopo l'intervista sul fascismo De Felice iniziò ad intervenire su due piani: quello solito della ricerca sui documenti; e quello della presenza mediatica. Lo fece con l'intervista a Giuliano Ferrara per il Corriere della sera nel 1987; con il libro Rosso e Nero con Pasquale Chessa nel 1995; con l'appoggio incondizionato a François Furet per il suo saggio Il passato di un'illusione nel 1995. Scatenando sempre risposte astiose, ma sempre più prive di credibilità. Oggi De Felice è un «classico», un «maestro», un intellettuale da ammirare per l'impegno nella difesa del proprio lavoro e della propria indipendenza.

Balbuziente, De Felice non balbettò mai al cospetto dei suoi avversari. La qualità della ricerca ha fatto diventare giustamente Renzo De Felice lo storico italiano più importante del XX secolo. Ma un ruolo essenziale lo hanno avuto anche il coraggio e l'onestà intellettuale.

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