La perquisizione dell'appartamento del poeta, in avenue de Camoens, fu uno dei primi atti compiuti dalla Gestapo a Parigi. Due giorni dopo l'ingresso dei nazisti nella capitale, il 16 giugno del 1940, Saint-John Perse era riparato in Inghilterra, ospite a Chequers da Winston Churchill, «per discutere delle sorti della Francia e del destino delle forze di resistenza, falciate nel fisico e nel morale». Il mese dopo sarebbe sbarcato negli Stati Uniti inaugurando un esilio, politico e personale, durato diciassette anni.
Hitler gli aveva promesso vendetta: nel 1938, durante la conferenza di Monaco, il poeta, giunto al seguito del Primo ministro Édouard Daladier, gli aveva dato contro. Il Führer esplose, «Chi è questo martinicano, questo negro che osa tenermi testa?»; il poeta, isolato, minacciò di pigliare a pugni il Cancelliere. Tra i documenti trafugati dall'appartamento di Saint-John Perse e perduti per sempre spiccava la traduzione di Anabase realizzata da Walter Benjamin. Il testo fu ritrovato, anni dopo, tra gli archivi di Hugo von Hofmannsthal, un altro ammiratore del poeta, e stampato in volume, proprio a Monaco, nel 1961. Anche Rainer Maria Rilke si era avvicinato al poema, magnetizzato da quella lingua arcana e apollinea, di spaventosa severità, ritraendosi, «è intraducibile, è opera d'altra razza, di un altro mondo». La carriera del poeta era stata micidiale, frenetica, schizoide. Nato nelle Piccole Antille francesi, in un'isola di famiglia, Saint-John Perse conserva l'austerità dei coloni aristocratici, la nostalgia del fuggiasco, una fede granitica nell'individuo e nella solitudine. Gli fu maestro Paul Claudel e amico André Gide; dopo gli studi a Pau e a Bordeaux, nel 1914 è ammesso al Ministero degli esteri per intraprendere la carriera diplomatica. L'incontro con Aristide Briand, di cui diventa il consigliere, gli consente di abitare ai vertici della politica francese; nel 1930 redige il Memorandum per «un'unione federale europea»; poco dopo delinea la sua formula «sull'ottimismo in politica»: «la vita è atto, l'inerzia è morte; il pessimismo non è soltanto contro natura, è un errore di giudizio pericoloso quanto la diserzione».
A differenza di un altro grande artista assurto agli alti ranghi della politica, André Malraux, un autentico satrapo, Saint-John Perse scansa i riflettori, è elusivo e infine inafferrabile, rifiuta il palco. Vive da scismatico: durante gli anni degli incarichi pubblici, Alexis Léger questo il nome di battesimo non pubblica, sottomette il poeta alla ragion di Stato. Secondo l'agiografia compilata da sé stesso, in terza persona, nel 1972, allestendo per la Pléiade Gallimard l'edizione delle sue Oeuvres complètes Saint-John Perse scrive Anabasi tra il 1916 e il 1921, «in un piccolo tempio taoista in rovina, a un giorno da cavallo da Pechino», dove è segretario del corpo diplomatico francese. Di certo, nel 1920 attraversa il deserto del Gobi insieme a Gustave-Charles Toussaint, studioso, avventuriero, scopritore di antichi manoscritti in Tibet. Il 26 febbraio del 1921 invia una lunga lettera a Joseph Conrad realmente giunta a destinazione? in cui gli racconta che «sugli altipiani dell'Asia, nel cuore del deserto, cavallo e cavaliere si girano ancora d'istinto verso Est, là dove giace la tavola invisibile del mare e la sede del sale».
Ritenuto (epigrafe cretina) «poeta per poeti», Saint-John Perse che incidentalmente ottenne il Nobel per la letteratura nel 1960 prolunga l'insegnamento di Arthur Rimbaud, predilige una poesia dall'amnio estatico, dalla nobiltà formale speziata e spiazzante. Tradotto negli anni Trenta da Giuseppe Ungaretti «vi incontro a ogni passo stupori nuovi, è una consolazione potere consacrarsi ad un tal lavoro», scrive alla principessa Marguerite Caetani , Anabasi torna per Crocetti (pagg.124, euro 12) nella versione, riveduta (la prima, con ottimi apparati, era edita da Ecig, 2000), di Giorgio Cittadini. Fin dai primi versi «Su tre grandi stagioni stabilendomi con onore, buon presagio ho del suolo ove ho fondato la mia legge./ Le arme di mattina sono belle e il mare. Ai nostri cavalli lasciata la terra senza mandorle/ ci vale questo cielo incorruttibile. E il sole non è nominato, ma la potenza sua è tra di noi/ e il mare di mattina come una presunzione della mente» siamo gettati in una poesia apodittica, apocrifa, apolide, che pare scritta tra diecimila anni, sempre giovane, che al criterio della comprensione predilige il rito meridiano, al logos antepone la mania. Forse soltanto un uomo così inserito nei meccanismi della Storia poteva scrivere una poesia astorica, tracciata tra le stelle.
Poeta senza epigoni, autore di un'opera che lascia senza fiato e che finalmente, lentamente, ritorna in Italia: le edizioni Settecolori hanno annunciato la pubblicazione di Amers, l'immane poema sul mare, di cui esiste un'antica e bella versione di Romeo Lucchese , Saint-John Perse amava i deserti e gli oceani, i viaggi solitari, la compagnia delle pietre e degli uccelli carnivori rispetto a quella degli intellettuali.
Nel 1930, per la Faber and Faber, Thomas S. Eliot aveva pubblicato la sua versione di Anabasi: le lettere di elogi al poeta ad esempio: «il suo poema è uno dei più grandi e singolari dei tempi moderni, se potrò pervenire a fare una traduzione che sia quasi degna di un simile capolavoro...», 15 gennaio 1927 restarono mute, senza risposta. Anni più tardi, Saint-John Perse instaurò un rapporto di stima cordiale con Eliot, propria agli intoccabili. In una lettera qui selezioniamo alcuni brani, finora inediti in Italia lo invita a Giens, in Provenza, nella casa che sfocia nel Mediterraneo. Anche se nessuno osa dirlo, Anabasi è poema più vasto e ricco di possibilità della Terra desolata.
Un giorno, durante una cena di gala, a Washington, una ricca suffragetta delle arti si avvicinò a Saint-John Perse. «So che siete poeta. Ma non so se è T.S. Eliot che ha tradotto un vostro poema o siete voi, al contrario, il traduttore del suo famoso poema». Saint-John Perse freddò l'interlocutrice, «la seconda è quella buona».
Per il resto della serata, con impeccabile arguzia, «continuarono a parlare di un poema di Eliot intitolato Anabasi» (così il racconto di Katherine Garrison Chapin). Il poeta collezionava maschere e con tutti manteneva la distanza che si confà alla menzogna e al miracolato.
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