Così Warhol dipinse il suono dei Velvet Underground

Il regista Todd Haynes racconta la nascita e i segreti del gruppo più iconico (e litigioso) degli anni '60

Così Warhol dipinse il suono dei Velvet Underground

Sesso, violenza, droga e una incredibile dolcezza. Distorsione, avanguardia, rumore e un incredibile senso della melodia. Nessun gruppo, come i Velvet Underground, è stato capace di conciliare gli opposti in una musica che non aveva precedenti, e non ha avuto eredi, anche se molti si sono dichiarati tali. È l'incontro fortuito e fortunato tra due ragazzi a dar vita a questa rapida, ma indimenticabile, avventura artistica. Da una parte Lou Reed. Figlio della piccola borghesia, destinato a una carriera di ragioniere, curato da una presunta omosessualità a colpi di elettrochoc. Dall'altra il gallese John Cale, figlio di minatori, emancipatosi grazie a un talento mostruoso per la musica, che lo porta a frequentare le migliori scuole.

Lou è la voce, dunque la parola, e la chitarra. Ha studiato alla Syracuse University con il grande poeta Delmore Schwartz, ama Hubert Selby Jr. e William Burroughs, Baudelaire e Rimbaud. Frequenta i locali gay perché «la gente è più gentile e divertente» e fa il pieno di storie di strada: tossici, femmine fatali, prostitute, matti. Saranno i protagonisti del suo canzoniere newyorchese. John è la viola, il violino, il basso, le tastiere, insomma: il suono. Si trasferisce a New York per studiare con i maestri del minimalismo come La Monte Young. Lou scrive canzoncine per una minuscola casa discografica, viene pagato a cottimo. John si esibisce per diciotto ore di fila, esegue integralmente le Vexations di Erik Satie, finendo anche in un programma televisivo in prima serata.

Lou e John, insieme, sono una bomba atomica scagliata sulla ingenuità degli anni Sessanta. Ma quale pace e amore, ma quale flower power, ma quale pacifismo, ma quali coretti West Coast. Lou ha visto il futuro: ed è massacro, dolore, oblio.

Reed e Cale reclutano un altro chitarrista, Sterling Morrison, e la batterista Moe Tucker, che non usa quasi mai una batteria completa, le bastano un tamburo o due, li percuote restando in piedi. È il tocco «tribale» che completa il suono dei Velvet Underground. A questo punto manca solo che qualcuno si accorga della band. Non passa molto tempo e tra il pubblico inizia a vedersi Andy Warhol, accompagnato dalla sua corte dei miracolati. Warhol rimane di stucco. In quel periodo dice di essere stanco dell'arte. Farà qualcosa di diverso: trasformerà i Velvet in una sua opera. Andy costruisce uno spettacolo di luci intorno ai Velvet e impone la cantante tedesca Nico. Manda tutti quanti in studio di incisione, facendo in modo, con la sua presenza, che nessun discografico si intrometta. Poi disegna la copertina del disco intitolato semplicemente The Velvet Underground & Nico (1967): una banana adesiva da sbucciare...

Il disco non vende bene ma è subito battezzato come capolavoro da chiunque lo abbia ascoltato. Il bello è che ne arrivano altri tre: White Light White Heat, Velvet Underground, Loaded. Nel frattempo i Velvet perdono i pezzi. Lou Reed litiga con Andy Warhol, che lo saluta con la frase: «Sei un verme»; poi litiga con John Cale, espulso dalla band; poi litiga con se stesso: nel 1970 abbandona tutto e torna per un anno dai genitori, lavorando come dattilografo.

Questa storia è raccontata dal regista Todd Haynes in The Velvet Underground, ora disponibile sulla piattaforma Apple Tv. Haynes è un veterano del film ispirato al rock, suoi sono Velvet Goldmine, dedicato al Bowie di Ziggy Stardust, e I'm Not There, ispirato alla biografia di Bob Dylan. The Velvet Underground è un documentario, non dice nulla che già non sapessimo, ma mostra numerose immagini, fotografie e video, molto rare. John Cale e Maureen Tucker sono i testimoni principali. Qua e là compare la voce di Lou Reed ma il punto debole è proprio non avere un'intervista nuova di zecca al protagonista principale.

Bellissime, però, le immagini dell'Exploding Plastic Inevitable, una vera e propria installazione di Andy Warhol, in cui i Velvet, in carne e ossa, erano le attrazioni principali. Dall'altra parte dell'Atlantico, i Pink Floyd sperimentavano qualcosa di simile nel locale londinese UFO. La distanza però è incolmabile, e si chiama Andy Warhol. Le performance dei Velvet sono così ipnotiche da lasciare in silenzio il pubblico, sbalordito, per cinque secondi alla fine di ogni canzone. Poi parte l'applauso.

Bella anche l'intervista a Moe Tucker sul viaggio a San Francisco e Los

Angeles dei Velvet, simboli di New York: «Si beavano di slogan da idioti. Li odiavamo, e loro odiavano noi. Il celebre promoter Bill Graham, prima del concerto organizzato da lui stesso, ci augurò di essere sepolti dai fischi».

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