La crisi protagonista sul palcoscenico e soprattutto in platea

In scena personaggi sull'orlo di una crisi di nervi, in sala un governo appeso a un filo, in piazza la (blanda) contestazione: così è l'Italia

La crisi protagonista sul palcoscenico e soprattutto in platea

Come in un sogno malinconico, ovattato dalla prima neve, la Scala spadella la Prima al tempo della crisi nera. Nemmeno il regista più geniale riuscirebbe a condensare dentro poche ore, dentro un solo teatro, dentro una singola piazza, la rappresentazione tanto metaforica della cruda realtà.

La crisi è ovunque, la crisi s'insinua da tutte le fessure. È crisi evidente nella magnifica bomboniera della sala, mai così sguarnita di decorazioni. È crisi nei pressi del palco imperiale, quest'anno addobbato col braccino, giusto una mezza siepe di fiori smorti, con due grossi bouquet che sembrano cavolfiori. Ma c'è tanta crisi anche dentro al palco stesso, dove ci sono il premier Monti e il sindaco Pisapia, ma non il presidente Napolitano, fermato a Roma dal clima rovente, né tanto meno il presidente della commissione europea Barroso, fermato a Bruxelles dal clima rigido. La mestizia è suggellata dal taglio brutale dei tradizionali convenevoli, spesso più emozionanti di tante opere: niente inno italiano, al diavolo Mameli, niente Inno alla gioia, al diavolo l'Europa. Giù le luci e si passa direttamente alla lirica.

Neppure il caso di dirlo: è crisi pure lì, sul palcoscenico. Soprattutto per l'identità italiana. Nel bicentenario della nascita del nostro amato Verdi, padre della patria in musica, si celebra il bicentenario della nascita del tedesco Wagner. Nell'Europa a trazione Merkel, forse è inevitabile. Però non può starci bene, così, come se fosse una scelta ovvia e naturale. In un momento tanto tetro per l'Italia, una flebo di sano Verdone avrebbe aiutato. E comunque: ancora li voglio vedere, i tedeschi, che nei loro teatri più gloriosi celebrano il bicentenario di Wagner con un'opera di Verdi. Sia detto fuori dai denti, senza rancore: ma va detto. E poi qualcuno, eventualmente, mi spiegherà pure perché quando la Germania, la Francia, l'Inghilterra difendono i loro geni e la loro cultura danno una grande lezione di orgoglio nazionale, noi, se appena facciamo per eccepire sull'umiliazione inflitta a Verdi, siamo i soliti provinciali.

A capo chino, come sempre, subiamoci allora la possente rappresentazione in tedesco di una crisi tedesca. Il Lohengrin ci parla di un periodo fosco e di una storia pesante per il popolo di Germania. Poi, alle volte, le coincidenze e l'ironia del destino: anche lì, ad un certo punto, c'è «un cavaliere che scende in campo», parole letterali tratte dal libretto. Nel buio della Scala, Monti e i suoi ministri hanno un fremito. Sono qui in molti, da Passera a Terzi, da Grilli a Giarda, da Ornaghi a Polillo, e chissà che non vada già letto anche questo come una metafora teatrale dell'imminente sfratto romano.

Purtroppo c'è poco da fare: è crisi per tutti. È crisi per le cantanti: malata la prima Elsa, malata la sostituta, una terza viene fatta arrivare nel cuore della notte. È crisi pesante anche nel settore vip: a parte i melomani veri e sinceri di sempre, tipo il professor Veronesi e il presidente di Confindustria Squinzi, a parte qualche banchiere piuttosto defilato perché non è proprio aria, a parte i pezzi grossi del mondo imprenditoriale e culturale lombardo, a parte le eterne Marte Marzotto e Valerione Marini, o quel che resta di loro, i cronisti del ramo sono costretti a giocarsi come evento Lapo Elkann accompagnato all'imprenditrice kazaka Goga (!?, ndr), e pazienza se pure stavolta il geniale nipote riesce ad arrivare un po' da impiastro, quando le luci stanno già calando e tutti fanno sssst. «Anche il 2013 sarà all'insegna della sobrietà», riesce comunque ad annunciare. E se lo dice lui, nessuno ha motivo per dubitarne.

C'è crisi, dannazione. C'è crisi. È crisi persino di fuori: la facciata del glorioso teatro e l'intera piazza, mai visti così disadorni di luci. Molta crisi, e questa non è una pessima notizia, anche tra i contestatori: ancora una volta si presentano puntuali alla convocazione, i Comitati di base riversano le loro minacce dall'altoparlante e i centri sociali lanciano qualche ortaggio, ma nel complesso siamo molto lontani dalle temute guerriglie di altre sedi e di altre giornate.

A dirla veramente tutta, l'unica a non sentire la crisi è proprio la lirica. Il maestro con nome da caduta dalle scale, Barenboim, incassa un successone e il solito minutaggio di applausi (un quarto d'ora). All'uscita, mentre la neve stende un velo pietoso sulla serata milanese e per qualche ora pure sulla crisi, s'incontrano cavalieri e dame incantate. Carla Fracci: «Mi sono goduta un'esecuzione fantastica». Eva Wagner, pronipote del celebrato autore: «Mi è piaciuta moltissimo».

Peccato che il trionfo del Made in Germany si chiuda con l'ultimo schiaffo al Made in Italy.

Per rimediare con toppa peggiore del buco, dopo pietosa trattativa Monti e il maestro si accordano per suonare l'inno nostro alla fine. In fondo, dopo i titoli di coda. Così, inevitabilmente, le amate note risuonano amare come un supremo oltraggio. Anche questa è grossa crisi, ma di valori.

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