È morto Angelo Guglielmi, l'uomo che ha portato Raitre dall'essere un progetto educativo molto polveroso e in stile Scuola Educazione, con una percentuale single digit di share, ad essere un canale televisivo vero. Guglielmi (classe 1929), che è deceduto ieri notte nel sonno, è stato direttore del terzo canale Rai da 1987 al 1994. Prese in consegna la rete dal fanfaniano Giuseppe Rossini, trovandosi per le mani un canale dai bassi ascolti, che non aveva una linea editoriale chiara (a parte la necessità di coprire l'informazione regionale), e la trasformò in una piattaforma dinamica e innovativa che, nel bene e nel male, resterà un unicuum nella storia della televisione italiana: lo share medio della rete passò in pochi anni da meno dell'1% ad oltre il 10%.
L'arma vincente della trasformazione? Unire l'alto e il basso, creare i presupposti per una televisione che si equilibrasse, un vero funambolismo del palinsesto, tra il pop e la cultura. Prima grande intuizione? Introdurre, per primo in Italia, il concetto di Tv verità - nacquero a strettissimo giro di posta e sotto suo impulso programmi come Telefono giallo, Samarcanda, Linea rovente, Un giorno in Pretura, La TV delle ragazze, Blob, Chi l'ha visto?, Mi manda Lubrano (poi spersonalizzato dal conduttore in Mi manda Raitre), Io confesso, Magazine 3, Avanzi, Ultimo minuto, Quelli che il calcio (passato nel 1998 su Rai 2), Tunnel e Storie maledette.
Un talento nell'intuizione dei format che era indissolubilmente legato alla capacità di individuare volti di conduttori capaci di bucare lo schermo, per simpatia, per professionalità, a volte anche per faziosità (la tv si fà anche così). Limitandosi ai nomi più noti: vennero lanciati personaggi come Corrado Augias, Michele Santoro, Donatella Raffai, Roberta Petrelluzzi, Serena Dandini, Fabio Fazio, Piero Chiambretti, Giuliano Ferrara, Daniele Luttazzi e Franca Leosini. Raitre trovò anche una identificazione forte a sinistra con il tg di Sandro Curzi, la parte più ideologica delle rete, che all'epoca veniva scherzosamente chiamato «TeleKabul»
Come riuscì in questa alchimia, di cui la rete vive ancora anche se i suoi epigoni non sempre hanno avuto lo stesso talento? Da un lato forse Guglielmi era dotato di un occhio assoluto per il piccolo schermo. Dall'altro aveva una costruzione intellettuale solida che spaziava dall'immagine alla letteratura. Oltre che dirigente, fu critico letterario, saggista e giornalista. Nato ad Arona il 2 aprile 1929, si laureò, nel 1951, in Lettere, all'Università di Bologna e nel 1954 superò il concorso per entrare alla Rai. Come ricordava lui stesso nel suo libro Sfido a riconoscermi (La nave di Teseo): «Mia madre ascoltando alla radio Il motivo in maschera condotto da Mike Bongiorno viene a conoscenza che la Rai ha bandito un concorso per autori e programmisti in vista dell'inaugurazione (prevista per quel maggio) della televisione italiana». Vinse, abbandonò l'insegnamento e iniziò una lunga carriera in cui, sono di nuovo parole sue: «gli inizi per me sono sempre stati duri, perché manco di simpatia immediata». Alla base del suo modo di pensare la tv c'era un deciso sperimentalismo colto che fu quello che lo portò ad essere tra i fondatori del «Gruppo 63» assieme a intellettuali della caratura di Alberto Arbasino, Umberto Eco e Nanni Balestrini. Il gruppo, per usare le parole di Balestrini, si proponeva di dare forma a un cambiamento nato da «una vivace insofferenza per lo stato allora dominante delle cose letterarie: opere magari anche decorose ma per lo più prive di vitalità».
Guglielmi portò quello spirito in televisione. Dal 1976 al 1987 fu capostruttura di Raiuno. Tra i programmi da lui ideati ad esempio Bontà loro, storica trasmissione condotta da Maurizio Costanzo. Prima di divenire direttore di Rai3 si occupò del Centro di produzione Rai di via Teulada a Roma. Poi la grande scommessa, sponsorizzata da Walter Veltroni, che raccontava così: «Quando ho cominciato a dirigere Raitre, non avevo modelli a cui ispirarmi: ho dovuto avventurarmi in azzardi». Azzardi come Blob per intenderci. In onda dal 1989, è uno dei programmi più longevi di Raitre e della televisione italiana. Quando iniziò sembrava un'assoluta follia nata (forse) da un idea di uno dei figli di Guglielmi che voleva un mattinale dei telegiornali e che Ghezzi trasformò in un sapido polpettone di tutta la tv.
Guglielmi fu entusiasta di rappresentare quello che secondo lui era «il fluido che uccide» che stava invadendo tutta la televisione. Televisione che Guglielmi nel '97 ha abbandonato senza troppi rimpianti apparenti. «Dopo otto anni alla guida di Raitre non riuscivamo più a inventare nulla». Dal 1995 al 2001 guidò l'Istituto Luce.
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