Due posizioni molto diverse sulla cancel culture. La prima è quella dell'ex Presidente Barack Obama, il quale, in una intervista di qualche giorno fa, ha cercato di dare la sveglia al suo partito: i Democratici, ha detto, troppo spesso si comportano come «dei guastafeste» e non capiscono che, cavalcando la cancel culture, finiranno disarcionati (dalla politica). Già in passato, Obama - che certamente nessuno può accusare di essere politicamente scorretto... - aveva definito «pericolosa» la cancel culture e aveva preso le distanze da un atteggiamento di «condanna continua delle persone», spiegando che non tutti possono essere «perfetti» e agire in modo «politicamente corretto» in ogni momento. Ora però, cercando di dare una mano ai Democratici, l'ex Presidente ha fatto notare ai colleghi di partito che certe posizioni sono ben lontane da quelle di una politica che si occupi di «ciò che è davvero rilevante», per esempio il lavoro, o la famiglia, le cose, insomma, che veramente stanno a cuore agli elettori, molto più di certi giudizi senza appello, o dei quadri tirati giù dalle pareti, o degli studiosi esclusi dai campus... Le persone, ha detto Obama, a volte non hanno voglia di sentirsi «come se stessero camminando sulle uova». Di più: «Quando ci sono dei problemi, a volte ci viene da dire che certi gruppi (...) poiché sono stati storicamente perseguitati, in qualche modo abbiano uno status diverso dagli altri e così andiamo in giro a rimproverare chi non usa esattamente la frase giusta. E quella politica identitaria diventa l'unica lente attraverso cui osserviamo tutte le varie sfide politiche». Mancando i veri obiettivi. Più chiaro di così.
Di tutt'altra idea l'attore e showman irlandese Graham Norton, che ha sminuito l'impatto della cancel culture e della censura che essa esercita su artisti e celebrità; di più, ha insinuato che chi si ribella alla cancel culture sia solo alla ricerca di un alibi, mentre, più che di censura, bisognerebbe parlare di «responsabilità». Queste parole sono state pronunciate a un festival letterario inglese, quindi il discorso è caduto su J.K. Rowling, uno dei bersagli preferiti della «cultura woke» per le sue posizioni sui trans (l'ultima, l'attacco alla premier scozzese Nicola Sturgeon e alla sua legge sul cambio di sesso che, secondo la scrittrice, favorirebbe gli abusi). Norton ha cercato di evitare di nominare la Rowling, criticando chi parla pur non essendo «esperto» dell'argomento.
Ma un altro presentatore britannico, Mark Dolan, ha preso le difese di «quel genio bestseller che ha insegnato a milioni di bambini ad amare i libri», sul quale sono stati versati «litri di vetriolo» e attaccato chi, dall'alto dei suoi privilegi, pretende di insegnare agli altri come pensare, e come parlare. Anche quando sanno farlo benissimo da soli. Anzi, in questo caso, ancora di più.
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