De Chirico, Guttuso, Sironi... "Hitler non voleva quest'arte"

A Cortina d'Ampezzo esposto un gruppo di opere che nel '44 furono censurate dalla Repubblica di Salò

De Chirico, Guttuso, Sironi... "Hitler non voleva quest'arte"

La politica ha sempre condizionato l'arte. Oggi decide se progettare o meno un museo sul fascismo, ieri decideva quali opere fossero utili o meno alla propaganda di regime (di tutti i regimi) e cosa esporre o vietare in un museo o in una galleria.

Accadde ad esempio alla Galleria Borromini di Como, nell'aprile del 1944, in piena Repubblica di Salò, quando la Prefettura intimò al direttore di togliere dalle pareti alcuni dipinti di Giorgio de Chirico, fra cui gli enigmatici Manichini guerrieri del '26, e altri di Amedeo Modigliani e di Massimo Campigli. Alla domanda del gallerista su quale fosse il motivo, un funzionario risposte: «Hitler non vuole questa pittura».

E, oggi, Dal caso Nolde al caso De Chirico. Hitler non voleva questa pittura è il titolo della mostra che a si aprirà l'8 agosto alla Galleria Farsettiarte di Cortina d'Ampezzo (fino al 30 agosto): curata dal critico d'arte Demetrio Paparoni, raccoglie proprio il De Chirico censurato nel '44 e altri capolavori - tutti provenienti da collezioni private, quindi pochissimo visti - di grandi artisti che i nostri alleati nazisti non gradivano o per motivi di razza (Modigliani era ebreo) o di «forma» (tutto ciò che non fosse realista era bandito). Ed eccoli qui, i cancellati dal nazifascismo: Cagli, Cagnaccio di San Pietro, Campigli (presente in mostra con una meravigliosa Pittrice del '27), Casorati, De Chirico, De Pisis, Guttuso, Modigliani, Mafai, Marino Marini (con la scultura in terracotta del Giocoliere, 1939), Morandi, Fausto Pirandello (con le Bagnanti, 1943), Rosai, Emilio Vedova (con due pezzi: La musica del '42 e una Composizione del '48), il tedesco Emil Nolde e persino Mario Sironi...

E sì. Anche Mario Sironi, fascista della prima ora, autore di vignette e illustrazioni per il Popolo d'Italia dal '21 al '40, e che pure Mussolini detestava come pittore, con quei «piedoni» e quelle «manone» «fuori dalla tradizione, fuori dall'arte italiana». Del resto, un altro epurato - qui in mostra con una Natura morta del 1930) - fu Emil Nolde, sostenitore del Partito nazionalsocialista fin dai primi anni Venti, di cui sposò le posizioni antisemite, ma troppo modernista, nel suo Espressionismo degenerato, per piacere al Führer.

Come spiega bene Demetrio Paparoni nell'introduzione al catalogo (che riprende la veste grafica in uso nei primi anni Quaranta), la differenza nella gestione della politica culturale tra la Germania nazista e l'Italia fascista fu molto marcata. Per i nazisti (in questo molto simili ai sovietici) l'artista doveva produrre un'arte che educasse il popolo ai valori del Partito. Mentre per il fascismo - almeno fino a che la razza ebraica divenne una discriminante - l'unica preoccupazione era che l'artista, libero dal punto di vista del linguaggio formale, non proclamasse apertamente idee antifasciste.

Casorati, per esempio, amico di Gobetti in gioventù e poi nel gruppo di Rivoluzione liberale, nel '23 fece tre notti in carcere: dopo evitò di manifestare pubblicamente il proprio antifascismo e continuò a dipingere ciò che voleva.

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