Dennis Rodman: "Io e Kim come due amici qualunque"

L’ex stella del basket racconta così il suo legame con il leader nord-coreano: “Sbaglio perché quella è una dittatura? Credo che negli Usa anni ‘60 ci fossero molte più ingiustizie”

Dennis Rodman: "Io e Kim come due amici qualunque"

Dennis Rodman torna spesso e volentieri in Corea del Nord. L’ex campione Nba ha ribadito il suo legame con Kim Jong-un in un’intervista concessa a Bleacher Report. Dall’alto dei suoi due metri d’altezza e dei suoi coloratissimi tatuaggi, l’ex Detroit Pistons e Chicago Bulls spiega che non c’è nulla di strano nei suoi rapporti privilegiati con Pyongyang.

Un giorno – ricorda Rodman – gli Harlem Globetrotters mi hanno chiesto di fare una tournee in Asia con loro. Ho accettato perché era un’esperienza nuova. Della Corea del Nord non sapevo nulla. Kim mi ha avvicinato e abbiamo passato tre giorni facendo di tutto, dallo sci alla pesca al nuoto. Come due amici qualunque, senza mai parlare di basket. Poi mi ha detto che da lui le porte sono sempre aperte. Quindi sono tornato altre volte”.

Dennis Rodman: “Quella nord-coreana è una dittatura?”

A chi gli rimprovera quest’amicizia particolare e il sostegno a Donald Trump, il campione della Hall of Fame del basket statunitense, da sempre un personaggio fuori dagli schemi, risponde con un parallelismo. “Sbaglio perché quella è una dittatura? Credo che negli Usa degli anni ‘60 – ammette con franchezza – ci fossero molte più ingiustizie”.

Nel corso dell’intervista, Rodman ripercorre anche la sua infanzia difficile nel New Jersey: il padre era un veterano del Vietnam e la madre lo ha allontanato da casa sin da ragazzo. “Vivevo e dormivo per strada – racconta Dennis –. In un’estate però sono cresciuto di 30 centimetri e, complice mia sorella, mi sono avvicinato al basket. La mia fortuna è che mi abbiano offerto una borsa di studio alla Oklahoma State University. Era un mondo diverso, se i social fossero esistiti ai miei tempi ora sarei miliardario”.

Rodman è sempre stato anticonformista e controcorrente, a Detroit come a Chicago. “A Detroit – rivela – ho sentito quell’amore che non mi avevano dato i genitori, quando quella squadra si è sciolta mi sono sentito tradito. Un giorno sono andato in auto in un parcheggio per suicidarmi.

Avevo già la pistola in bocca, ma mi ha salvato una canzone dei Pearl Jam. Il ciclo con i Bulls invece è finito quando Jordan ha chiesto più soldi per restare”. Bad As I Wanna Be, come ha intitolato la sua autobiografia.

Gods..Plan.

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