Uno, dieci, cento Sgarbi. L'arte di portare il ritratto al suo limite estremo

Il critico è uno degli italiani più riprodotti dagli artisti. Ora queste opere diventano una mostra

Uno, dieci, cento Sgarbi. L'arte di portare il ritratto al suo limite estremo

Inizialmente avevo suggerito l'idea di una mostra di ritratti, essendo Vittorio Sgarbi l'italiano più ritrattato dopo Benito Mussolini (con la sostanziale differenza che il culto della personalità mussoliniana ha contribuito al disastro della guerra mentre il culto della personalità sgarbiana non ha prodotto morti né feriti né sconsiderati propositi di spezzare le reni alla Grecia). Mi sembrava anche giusto restituirgli il favore che aveva fatto al ritratto nel 1991, quando aveva realizzato una bellissima e precisissima mostra al castello della Mesola, dunque nella sua provincia ferrarese, un'esposizione straordinariamente completa di ritratti del Novecento in un momento in cui, morto Guttuso e ancora ben viva l'iconoclastia ideologica delle avanguardie, il genere se la passava piuttosto male. Fu la prima mostra di Sgarbi che vidi e fu una rivelazione: vi scoprii fra gli altri Vittorio Bolaffio e Vittorio Corcos, Adelchi Riccardo Mantovani e Mario Reviglione, e soprattutto la costante possibilità, l'insistente vitalità (sebbene insistentemente repressa) del ritratto. Una mostra come si suol dire seminale almeno per quanto mi riguarda visto che alimentò la mia ossessione per la rappresentazione pittorica della figura umana che poi, recentemente, è sfociata in una vera attività di promozione del ritratto: il mio personale contributo all'immortalità degli italiani per via artistica.

Sono passati venticinque anni, un quarto di secolo, e mi consola del crudele scorrere del tempo il ritrovare nella mostra di oggi alcuni protagonisti di quella di ieri, da Luigi Serafini, sebbene stavolta non come pittore, ad Aurelio Bulzatti, autore di un sensibile, commosso ritratto di Sabrina Colle, vestale sgarbiana qui nelle vesti di curatrice. Sempre di quel remoto 1991 è un servizio fotografico di Helmut Newton, allora il fotografo numero uno al mondo per quanto riguarda il bianco e nero (per quanto riguarda il colore, il fotografo numero uno al mondo era Luigi Ghirri). Qualche mese fa andai a Ro, a casa Sgarbi, e chiesi al segretario di Vittorio dove fosse finito: non ne sapeva nulla, lo cercammo in ogni dove, nelle stanze gremitissime di opere d'arte di ogni epoca e poi negli archivi, quindi gettammo la spugna e me ne andai deluso ma pure sollevato perché sono un uomo d'ordine e ho orrore dell'horror vacui. Sabrina, che all'horror vacui deve averci fatto l'abitudine, è riuscita, non so come, non so dove, a ritrovarlo, ed ecco pertanto Newton in questa mostra intitolata Oltre il limite (a Castello dell'Abate, a Castellabate, Salerno, fino al 31 agosto; a cura di Sabrina Colle) anche perché vi si oltrepassa il limite disciplinare della mostra della Mesola ossia il linguaggio pittorico, arrivando a includere scultura, fotografia, nuove tecniche. Vi si oltrepassa anche il limite della mostra di ritratti: alcuni lavori esposti non lo sono se non in senso lato, ritraendo i luoghi, le persone, le scoperte del grande critico. Molti altri limiti sono stati superati dal nostro eroe e l'opera che meglio manifesta questo continuo sfondamento estetico-esistenziale è La giornata di 24 secoli di Vittorio Sgarbi, formidabile tela di Enrico Robusti che fra templi greci e pale eoliche mostra come una personalità eccezionale possa piegare l'orologio. Le pale eoliche ritornano nel ritratto di Pino Navedoro, che di Sgarbi coglie il donchisciottismo, il lanciare il cuore oltre l'ostacolo, il battagliero attraversare, in nome della bellezza, il limite del ragionevole che è spesso il limite del brutto. Ma più che di pale la mostra pullula di capre: molti artisti si sono cimentati nella rappresentazione dell'animale innumerevoli volte evocato da Sgarbi come figura dell'umana ignoranza.

Fra cent'anni, quando noi somiglieremo alla Vanitas di Bertozzi&Casoni, i visitatori del remake di questa mostra oltre che sul curioso rapporto di Sgarbi con le capre si soffermeranno sul rapporto con la tecnologia, qui presente nel ritratto di Rocco Normanno che drammatizza il trapasso dalla carta al digitale, e con la storia dell'arte, compendiato da Giovanni Gasparro in un vortice di occhiali sopra i quali aleggiano il seno e il teschio, l'alfa e l'omega, i limiti della vita umana che solo il ritratto consente di vividamente oltrepassare.

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