Nell'infanzia c'è il nostro destino, e se l'infanzia è sopratutto giuochi, divertimento e balocchi, allora è lì, in ciò con cui giocavamo da piccoli, che c'è il nostro essere grandi. Esempio: Andrea Camilleri. Ai suoi tempi - Porto Empedocle, Sicilia degli anni Trenta - lui e i suoi amici inventarono uno strano gioco. Ci si distendeva in cerchio a pancia sotto sulla spiaggia e ognuno metteva all'altezza della propria testa una monetina da venti centesimi, dopo averci sputacchiato sopra (ma qualcuno usava altro, oltre alla saliva...). Poi si restava immobili e in silenzio, anche per ore, aspettando che una mosca - ecco il nome U iocu d'a musca - andasse a posarsi sul ventino. E il proprietario della moneta prescelta d'a musca vinceva tutto il piatto. Bene. Fu lì - «a forza di raccontarmi storie vere e inventate in attesa della mosca» - che il ragazzino diventò regista e scrittore...
La confessione è in un vecchio testo di Andrea Camilleri - la relazione a un convegno palermitano del 1997 - che ora diventa una Piccola enciclopedia di giochi per l'infanzia illustrata con particolari del dipinto di Bruegel il Vecchio del 1560 Giochi di fanciulli (Henry Beyle, pagg. 104, euro 26, con una «Nota» di Stefano Salis, il primo in Italia, vent'anni fa, a laurearsi con un tesi sul narratore del commissario Montalbano).
Sono brevi storie che ripescano un mondo antico, povero e straordinario, fatto di pezzi di stoffa, bastoncini, bottoni, gessetti e sassi, come i ciottoli levigati scagliati di piatto sull'acqua per farli rimbalzare, un gioco che abbiamo fatto tutti, ognuno di noi chiamandolo con un nome diverso, e che lì in Sicilia si dice «giammarita»... Un mondo perduto nella vita quotidiana (oggi chi gioca più a cuncirtinu, o a cavaseddru?) ma che resiste in quell'intreccio di lingua, memoria, immaginazione e racconto che si chiama - in una parola - letteratura.
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