Convinto, come dimostrano sessant'anni di carriera, che la cancellatura è il segno che elimina il superfluo per esaltare l'essenziale, Emilio Isgrò - 84 anni, eccezionale periodo di rigogliosa maturità, oggi in total white dai mocassini alla punta della barba, occhio velocissimo e accento siculo, quello sì incancellabile anche dopo 66 anni di vita e di opere milanesi - ha sempre colto l'essenziale dell'arte. Ossia: che l'arte è istinto. «Se devi dire Ti amo, non devi fare un discorso filosofico». Che nessuna forma d'arte è legittimata, se non dalle persone che sono legittimate a fruirne: cioè noi spettatori. E che l'arte più contemporanea è proprio quella che si misura con l'antico.
Ed ecco - ultima frontiera del linguaggio della cancellatura la quale, negando, afferma - un progetto espositivo che sovrappone il nostro tempo a quello antico, apparentemente per coprirlo, in realtà per farlo risplendere. Si chiama Isgrò cancella Brixia ed è la grande mostra diffusa (fino all'8 gennaio 2023, a cura di Marco Bazzini) che invade Brescia con tutte le forme espressive di cui è capace Emilio Isgrò: pittura, scultura, scrittura, teatro, cinema persino. L'arte, il mito, la Storia, l'identità, ma anche il gioco, il divertimento, la provocazione, fra archeologia, Memoria, cultura classica, Presente. E poi lo Spazio e il Tempo.
Il tempo è lungo duemila e duecento anni, dalla colonizzazione di Brixia da parte della Repubblica romana, tra III e II secolo a.C., e oggi. Lo spazio è il corridoio Unesco, in fase di completamento, che collega, in un percorso lungo un chilometro, il parco archeologico (è il più vasto sito di epoca romana del Nord Italia) al museo di Santa Giulia, cioè i luoghi principali della mostra.
«Io cancello per creare, non per distruggere - racconta passeggiando per la sua nuova città d'elezione, da Barcellona Pozzo di Gotto, Messina, a Brescia-Brixia La Leonessa - perché la cancellatura è l'altra faccia della scrittura: solo chi elimina fa riflettere. Hai mai visto le varianti dei Promessi sposi o dei Canti di Leopardi? Sono le cancellature che fanno la storia della letteratura».
Isgrò, da parte sua, ha scritto, cancellandole, molte pagine di quella dell'arte. E, qui a Brescia, se ne leggono parecchie.
Tre anni di lavoro, un progetto monstrum che coinvolge la Fondazione Brescia Musei, il Comune e l'Archivio Isgrò, una grande operazione di arte pubblica, e cinque «sale». Si parte dalla stazione Metro Fs, ideale porta d'ingresso alla città, dove, sulla parete nord, Emilio Isgrò - già nel 2020 - ha realizzato la monumentale installazione site-specific Incancellabile Vittoria, circa 200 metri quadrati e 205 pannelli di fibrocemento fresati per fare risaltare, elevandola dalle sue tipiche cancellature, la sagoma della Vittoria Alata, una fra le più straordinarie statue in bronzo di epoca romana e simbolo di Brescia... Poi si continua con una mostra tradizionale, allestita negli spazi del Museo di Santa Giulia: tredici grandi tele dove le pagine illustrate di un manuale scolastico sulla vita quotidiana di una polis greca sono state cancellate in bianco (domanda: ma Isgrò cancella o dipinge cancellature?) e, a metà percorso, la scultura di un discobolo coperta dalle formiche, altro topos riconoscibile di Isgrò. Subito dopo, nel chiostro rinascimentale del museo, non per caso luogo di raccolta di una straordinaria raccolta di iscrizioni latine (epigrafi, le Tavole dei «Fasti imperiali», cippi sepolcrali e are funebri) ecco un enigmatico strumento musicale in legno e acciaio specchiante, cinque metri per otto, alto tre e mezzo: nell'aria risuona «Casta diva», dalla Norma di Vincenzo Bellini (ma chi la suona? Il maestro Arturo Benedetti Michelangeli, bresciano?), ma la celebre aria è «cancellata» dal soverchiante cinguettio (registrato) di un coro d'uccelli, titolo: L'armonium delle allodole impazzite. Quindi, nello scenografico teatro romano, va in scena (ieri c'è stata la «prima» ma sono molte le repliche in calendario), Didone Adonàis Dòmine, un dramma scritto dallo stesso Isgrò, da sempre innamorato del classico. E infine, nella sala centrale del Capitolium che ospita un vero e proprio museo epigrafico, ecco il gran finale: in un video di tre minuti, programmato per ripetersi ogni dieci - si intitola Le api di Virgilio ed è l'opera digitale più grande mai realizzata da Isgrò - grazie a una delle più avveniristiche tecniche digitali di videomapping oggi disponibili, una moltitudine di api in volo cancella i marmi con le iscrizioni romane. Il ronzio prima dolce diventa presto assordante, lo stupore del visitatore muta in inquietudine, la luce della sala è oscurata dallo sciame sempre più grande... «L'arte deve dare fastidio», sussurra dietro di noi Isgrò.
Fastidioso perché artista incomodo, provocatore, ma che ha le carte in regola con le avanguardie, Emilio Isgrò è, con le sue colte cancellature, il contraltare alla cultura della cancellazione. «Cancellare Brixia non significa cancellare una città ma esattamente il contrario: significa riportare all'attenzione degli italiani e degli europei una comunità culturale e civile che ha dato molto al Paese e che continua a farlo in questi anni difficili. Un momento così difficile che anche gli artisti non possono più accontentarsi di essere solo una voce del listino di Borsa, ma uomini e donne in carne e ossa capaci di amare e di soffrire. La mia cancellatura non è fatta per uccidere o censurare, come pretende la cancel culture, che è una follia. Ma per preservare sotto l'inchiostro le parole di speranza e fiducia che oggi mancano al mondo».
Il progetto Isgrò cancella Brixia è nuovo, coraggioso, imponente. E spettacolare. L'esempio di come il contemporaneo, quando è intelligente, è capace di esaltare l'antico non opponendosi, ma confrontandosi.
«Il teologo tedesco medievale Meister Eckhart - ci prende sotto il braccio Isgrò - diceva che Solo la mano che cancella può scrivere il vero». E del resto, aggiunge: persino Dio si cancella per non apparire all'uomo Mosè.
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