Chi è senza peccato scagli la prima pietra. E così la 91esima cerimonia degli Oscar è rimasta coerentemente senza conduttore dopo la rinuncia dell'attore Kevin Hart per le polemiche seguite ad alcune suoi tweet omofobi di ben nove anni fa. Perché Hollywood non dimentica, mai, di essere la capitale, oltre che del cinema, del politicamente corretto. Dunque la maggior parte dei premi può essere letta in quest'ottica, vagamente politica, anche se parliamo comunque di film di grande qualità. Come Green Book di Peter Farrelly che si è portato a casa la statuetta del miglior film scompaginando le aspettative del grande favorito, Roma, di Alfonso Cuarón comunque vincitore (Netflix pare abbia investito 25 milioni di dollari nella campagna degli Oscar) con il triplete di peso: miglior regia (è la quinta volta in sei anni che vince un messicano), miglior fotografia (sempre dello stesso regista), migliore film straniero. Due titoli emblematici perché parlano di integrazione nei loro paesi, Stati Uniti e Messico da tempo divisi sulla questione immigrati: «Ma facciamo tutti parte dello stesso oceano» ha detto Cuarón. Anche se ad alzare muri contro Green Book è uno come Spike Lee, mentre Steven Spielberg ha detto che è il suo «buddy movie preferito dai tempi di Butch Cassidy», forse perché a dirigere una storia su un afroamericano di successo che si fa scorrazzare per l'America da un autista bianco c'è un regista non nero. «Ogni volta che qualcuno fa l'autista per qualcun altro, perdo» ha scherzato, ma non troppo, Spike Lee riferendosi all'anno in cui vinse A spasso con Daisy e il suo Fa' la cosa giusta non venne nemmeno candidato. Ora Green Book, a parti invertite, racconta di come a volte bisogna sedersi al posto di dietro per andare avanti: «Questo è un film sull'amore che supera le differenze», ha detto il regista che finalmente viene premiato (Oscar anche alla migliore sceneggiatura originale) con una commedia dopo aver diretto, insieme al fratello Bobby, l'esilarante Tutti pazzi per Mary. Come tutti black sono i premi che seguono. «Dedico questo premio a mia nonna, la mia eroina che mi ha incoraggiato a fare tutto quello che volevo», ha detto l'afroamericano Mahersala Ali, miglior attore non protagonista due anni dopo Moonlight di Barry Jenkins che ora, con Se la strada potesse parlare, ha portato l'Oscar a Regina King come miglior attrice non protagonista. Grazie al cinecomic Marvel Black Panther vince come miglior costumista per la prima volta un'afroamericana, Ruth E. Carter, che ha ringraziato Spike Lee con cui aveva esordito in Malcolm X: «Spero che questo premio ti renda orgoglioso!». Il regista di BlacKkKlansman che ha vinto ora il suo primo Oscar competitivo per la migliore sceneggiatura non originale, pensando di stare a un comizio, invece, ha detto: «Le elezioni del 2020 sono dietro l'angolo, ricordiamocelo, possiamo fare la cosa giusta», ogni riferimento all'uomo nero Donald Trump è... voluto. Di immigrazione s'è parlato anche con il premio al miglior attore andato a Rami Malek che interpreta il leader dei Queen in Bohemian Rhapsody: «Sono figlio di immigrati egiziani, americano di prima generazione, non ero la scelta più ovvia ma a quanto pare ha funzionato. Anche Freddie Mercury era un immigrato». A questo proposito possiamo allora essere contenti perché c'è un pezzetto d'Italia nell'Oscar al miglior film di animazione andato a Spiderman: un nuovo universo in cui l'uomo ragno, anche qui di colore, è stato disegnato dall'artista marchigiana Sara Pichelli.
Alla fine grazie a Olivia Colman, migliore attrice per il ruolo della regina Anna in La Favorita di Yorgos Lanthimos (il vero sconfitto della serata), sul palco è arrivata un po' di ironia: «Ricordo di quando ero un'addetta alle pulizie, amavo quel lavoro ma ho sempre sognato questo momento». Standing ovation del pubblico. Lady Gaga, nominata anche come migliore attrice, s'è dovuta invece accontentare dell'Oscar per la migliore canzone, Shallow, uno dei brani di A Star Is Born di Bradley Cooper che ha cantato insieme al regista e attore sul palco a cui ha fatto gli occhi più che dolci.
Dopo la premiazione - a Los Angeles sono le otto di sera quando finisce - cena al Governor's Ball di
Hollywood dove, ad attendere i 1500 ospiti, c'era Wolfgang Puck, lo chef più in degli States, che è arrivato a proporre pure i bocconcini di quaglia fritti. In puro «Nashville style», of course. Sovranisti almeno a tavola.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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