Ecco gli scrittori "zerozero". Il vuoto raccontato male

A partire da "Gli Iperborei" di Pietro Castellitto arriva una serie di romanzi fintamente raffinati

Ecco gli scrittori "zerozero". Il vuoto raccontato male

Dopo i cannibali degli anni '90, dopo la Generazione TQ degli anni 2000 solo la pandemia poteva portarci un nuovo gruppo di scrittori che fa nascere una narrativa non 2.0 ma 00: come la farina. Perché è esattamente come la farina 00: come leggiamo sulla Treccani «Nella farina 00 vengono eliminati la crusca, ricca di fibre ed il germe del grano, ricco di vitamine, sali minerali e amminoacidi, tutto questo per rendere la farina più bianca e più facilmente vendibile. Tutto ciò che resta è l'amido (carboidrati semplici) e poche proteine (glutine). L'apporto nutrizionale all'organismo è molto basso anzi, in qualche modo la farina 00 contribuisce all'aumento della glicemia».

Ecco da dove nasce la NarrativaZeroZero: giovani autori che negli ultimi mesi hanno scritto, pur con scelte narrative diverse, non dei romanzi ma dei libri che sono prodotti da vendere in un mercato editoriale che predilige un apporto nutrizionale zero, anzi 00, preferibilmente da spacciare come libri raffinati ma in realtà adatti a tutti i palati.

La lista è lunga, ma ci possiamo concentrare sui massimi rappresentanti. Il primo senz'altro è Pietro Castellitto con il suo romanzo Gli Iperborei: pubblicato da Bompiani e candidato al Premio Strega su proposta di Teresa Ciabatti, una scrittrice che appartiene alla generazione precedente, quella dei Meno di Zero (come Nicola LaGioia, Paolo Cognetti, Michela Murgia, Silvia Avallone).

Pietro Castellitto, figlio dell'attore e regista Sergio Castellitto e della scrittrice Margaret Mazzantini, è inarrivabile capostipite dei narratori zerozero: se la generazione dei meno di zero dimostra il proprio essere «stundaia», che nel genovese di Eugenio Montale significa «atteggiamento tipico di orgoglio e timidezza, misto a diffidenza. La pratica quotidiana del mugugno, un certo complesso di inferiorità nei confronti dell'altro, bilanciato dal senso di superiorità morale» (basti pensare a Michela Murgia) i narratori zerozero si caratterizzano per autocrearsi un'etichetta, perfezionata dalle case editrici, di scrittori che raccontano il quotidiano attraverso la lente di una presunta visione intellettuale e filosofica che esiste solo nelle loro teste e, purtroppo, nelle loro penne.

Perché, lo ricordiamo, qui si criticano non le persone ma gli scrittori nella loro veste di scrittori e ciò che creano zerozero.

Gli Iperborei è il perfetto manuale di narrativazerozero: rimasticare la letteratura americana (in questo caso American Psycho di Bret Easton Ellis), rendere i protagonisti già pensati per delle serie Netflix, un'ambientazione più scenografica che reale, più idealizzata che credibile.

Nel caso specifico Gli Iperborei vuole essere il ritratto di una generazione ricca e dissoluta con un protagonista che è identico al protagonista di American Psycho, Patrick Bateman, con la differenza che non è un serial killer di esseri umani ma di lettori. Frasi indecifrabili come: «Chi non sa controllare le proprie emozioni può essere spesso pericoloso, chi sa controllarle lo è sempre. Penso questo e intanto l'ombra elettrica di una grossa palma reale mi rinfresca». Non si fa in tempo a capire cosa sia «l'ombra elettrica» che subito ci imbattiamo in «questo vino fa sborrare»: a parte la raffinatezza, che è caratteristica di tutto il romanzo, c'è una volontà forzata di stupire e scandalizzare che azzera ogni tentativo. Come quando scrive «Immergo la mano nel cestello del ghiaccio fino a non sentirla più, Guenda mangia con le mani carpaccio d'orata e si infila grossi mucchi di zenzero in bocca». Castellitto, come tutti gli scrittori Zero Zero non ci racconta la vita ma l'instagrammatica della vita: esistenze che sembrano uscite da Instagram non solo perché lo sono ma perché sono forzatamente descritte per essere social. E qui il cortocircuito: il protagonista di American Psycho è uno psicopatico antisociale, il protagonista de Gli Iperborei è uno psicopatico che vuole essere social(e).

Tra i maestri nella Narrativa ZeroZero sono salve le quote rose: Veronica Raimo con il suo Niente di vero (Einaudi) conferma con il titolo le recensioni entusiastiche: (Zero)Zerocalcare scrive che «Raimo è l'unica che mi ha fatto ridere ad alta voce»; Domenico Starnone che «All'inizio c'è la famiglia. Veronica Raimo racconta che, specialmente se si è figlie, quell'inizio combacia con la fine» mentre Claudia Durasanti: «Leggere questo romanzo è una festa. Ma molte pagine sono ferite da medusa: bruciano alla distanza». Appunto, niente di vero. Le uniche ustioni sono quelle alla lingua italiana. In questo romanzo familiare autobiografico i protagonisti sono Veronica e Christian Raimo, i due fratelli della narrativa zerozero. Parafrasando l'autrice «leggere era come sprofondare in un acquitrino di latte»: esattamente la stessa sensazione che si prova leggendola e, come una indovina, Raimo intuisce anche la sensazione del lettore quando scrive «tutto acquistava un senso, un fenomeno di transustanziazione, la mia carne diventava noia».

Seguiamo la protagonista Veronica che fugge di casa dicendo ai familiari «Esco a prendere un gelato» (non erano le sigarette?), si ritrova in aeroporto quando «l'altoparlante declama il mio nome». Già, lo immaginiamo. Raimo è talmente una narratrice zerozero che dagli altoparlanti non esce una voce gracchiante e robotica «Avviso importante a tutti i passeggeri», ma addirittura declamano il suo nome! Che autostima questo ZeroZero!

Poi ricorda quando era bambina e «nel cortile del palazzo c'erano sempre dei ragazzini che giocavano, i loro schiamazzi ci arrivavano come una lingua ferina a cui non avevamo accesso».

Ed è davanti a questa frase che, immaginiamo, il borgataro Zerocalcare abbia riso a voce alta pensando: «Ferina? Sti cazzi!». Seguiamo la sua vita familiare e scopriamo che Veronica «aveva addosso tutto l'odore della giornata». Qui la seconda risata. Le giornate sono da indossare?

Poi veniamo a esaltanti momenti escatologici: «I momenti più profondi di solitudine li ho vissuti sulla tazza del cesso. Era il mio apprendistato alla frustrazione». La solitudine crea frustrazione anziché creatività e Veronica Raimo descrive benissimo questa sensazione in tutte le pagine.

Un altro scrittore zerozero è Marco Peano che con il suo Morsi (Bompiani) ha ricevuti lodi sperticate da tutti i critici letterari: peccato che abbiano omesso che Marco Peano è anche editor di Einaudi, quindi chi decide i libri da pubblicare nella prestigiosa casa editrice. Si sa: tutti i critici prima o poi scrivono un libro e quindi meglio tenerselo buono. Anche io sono uno scrittore e un editor, quindi temo la vendetta ma scrivo ciò che penso, illudendomi sempre che un vero scrittore accetta anche le critiche più feroci perché si stronca il suo romanzo non la persona o la sua figura da editor. Ad oggi sarebbe il primo a prenderla con ironia.

Marco Peano in questo Morsi è un Niccolò Ammaniti che scrive Anna con una mano amputata dalla lettura di Ammaniti. Vorrebbe essere Stephen King: tantissimi i passaggi che lo omaggiano ma Stephen King ambienta le sue storie nell'America più profonda dove ogni paesaggio può nascondere un'inquietudine: Peano sceglie Lanzo, una località sciistica sule valli del torinese che non è proprio shining. Non manca il sovrannaturale che deve aver imparato pubblicando i libri di Michela Murgia: niente streghe, ma racconta di «nonna Ada, una donna severa, la guaritrice del paese, per alcuni una masca, una figura della tradizione popolare» che in sintesi è l'accabadora versione piemontese.

A salvarsi tra gli ZeroZero ci sono soltanto il romanzo di Vanni Santoni La verità su tutto (Mondadori) che se non mantiene la promessa del titolo dall'altra racconta i veri iperborei: con eleganza di scrittura, racconta una generazione senza essere generazionale.

Poi c'è Jonathan Bazzi con Corpi minori (Mondadori) un romanzo che racconta una generazione minorata dai pregiudizi sociali,

razziali e di genere ma senza cadere mai nello scontato, nel già (a) letto, con una Milano che ricorda quella dipinta nei romanzi di Renato Olivieri e nei quadri di Sironi se fosse ancora vivo. Per il resto è tutto ZeroZero.

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