"The Eddy", il jazz si fa serie tv di nicchia su Netflix

Preoccupazioni esistenziali, problemi finanziari e guai con la malavita parigina, in una serie costruita come una sessione di jazz: intimista, sofisticata e col gusto dei cambi di ritmo.

"The Eddy", il jazz si fa serie tv di nicchia su Netflix

"The Eddy", la nuova mini-serie originale di Netflix, è ambientata in un jazz club parigino e racconta di un gruppo di persone, per lo più musicisti, che hanno problemi e interessi in comune.

Sono otto episodi che nulla hanno a che vedere con quanto già a catalogo nelle varie piattaforme di streaming: "The Eddy" è un prodotto di nicchia, destinato a un pubblico definito, magari già amante del jazz e in cerca di qualcosa da sorseggiare come un vino da meditazione.

Tra i produttori figura il regista Damien Chazelle, nome di richiamo del cinema contemporaneo, il quale firma la regia dei primi due episodi e, malgrado non sia l'autore dello script, mai come in quest'occasione può misurarsi con i due amori cui ha dedicato la sua formazione: il cinema e la musica jazz. Anche se lo sforzo produttivo vede coinvolti altri tre registi, è indubbio che sia il premio Oscar, con il suo lungo avvio (due episodi di un'ora ciascuno), a dettare l'estetica dell'intera serie. Cambiando pelle per l'ennesima volta, il giovane cineasta abbandona la luminosità di "La La Land" e rispolvera un po' dell'ossessività di "Whiplash", creando una composizione cinematografica direttamente ispirata al genere di musica che ne è protagonista: il suo è un esercizio di stile, viscerale e ruvido, dai toni cangianti e dal ritmo spesso interrotto, proprio come fosse una sessione jazz eseguita in buona parte con la camera a mano. La cinepresa è lo strumento attraverso cui sentiamo vibrare i meandri della Parigi multietnica e il palco durante i numeri dal vivo della band. Il risultato è una ripresa intimista e al contempo quasi documentarista. Alla lunga, per molti, un po' ostica.

"The Eddy" racconta di un famoso compositore e pianista jazz, Eliott Udo (André Holland), che ha abbandonato la carriera da professionista e ha aperto un club a Parigi, il cui nome dà appunto il titolo alla serie. Nell'impresa Eliott duetta con Farid (Tahar Rahim), socio che si occupa di far quadrare i conti, mentre ha tenuto per sé la direzione artistica del locale, ovvero la gestione della band che vi si esibisce. L'uomo ha una storia turbolenta con la cantante Maja (Joanna Kulig) e un rapporto compromesso con la figlia, Julie (Amandla Stenberg), sedicenne che sta arrivando dagli Stati Uniti per stabilirsi da lui per un po'. La situazione, già difficile, si complica quando Farid, che ha coinvolto il club in alcuni traffici illeciti, viene aggredito.

La parte di Parigi che fa da sfondo a "The Eddy" è fuori dagli itinerari turistici, una piccola Babele in cui è del tutto naturale sentir parlare indifferentemente inglese, francese e arabo. E' lì che vive un'umanità dolente, preda di ristrettezze economiche, sacrifici, dipendenze e ricatti criminali (la parte stonata dell'ensemble).

Ogni episodio è dedicato a un personaggio diverso ma sempre mantenendo la presa sulla continuità narrativa che lo lega agli altri. Il tono è dolce-amaro poiché si parla di problematiche lavorative e di conflitti interiori, ma si fatica ad affezionarsi ai personaggi, forse perché tanto tormentato realismo è l'ultima cosa di cui aver voglia in questo momento storico. Parte della colpa però è senz'altro dell'eccessiva dilatazione temporale dell'intera opera, perché la lentezza autoriale è una cosa, prestare talvolta il fianco alla noia un'altra.

La musica, composta e curata da Glen

Ballard e Randy Kerber (nella serie è il pianista della band), detta i tempi della macchina da presa e del montaggio. Di sicuro un amore nasce durante la visione di "The Eddy": quello per il brano che ne porta il titolo.

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