"Gli editori non osano più: temono i lettori"

L'ex direttore di Fazi ha appena fondato Atlantide: "Molti pubblicano libri come sparassero alla cieca. Noi ne sceglieremo dieci l'anno, sorprendenti"

"Gli editori non osano più: temono i lettori"

Dopo i successi ottenuti come direttore editoriale di Fazi e col marchio Lain (tra tutti, il fenomeno Melissa P., la saga vampiresca di Stephenie Meyer e il lancio in Italia di autori del calibro di JT Leroy), dopo l'avvio dell'etichetta discografica Sleeping Star e dopo alcuni anni in cui si è espresso principalmente come autore (Il giardino elettrico, Bompiani, 2010; Sa reina, Ponte alle grazie, 2013; Un amore degli anni Venti, Ponte alle grazie, 2015), Simone Caltabellota torna a indossare i panni del direttore editoriale. Ma questa volta lo fa con un marchio nuovo di zecca, Atlantide Edizioni, con sede a Roma, da lui fondato insieme agli scrittori Flavia Piccinni e Gianni Miraglia. Una filosofia tutta nuova sta dietro questo progetto, a partire dalle logiche distributive che, bypassando i metodi tradizionali di diffusione dei libri, si baseranno su tirature limitate e rigorosamente numerate (999 pezzi), vendita per abbonamento, rapporto diretto con un selezionato numero di librerie fidelizzate. Ne abbiamo parlato con lui.A cosa dobbiamo questo suo ritorno dall'altra parte della macchina da presa, per così dire? Si era stancato di fare solo l'autore?«In realtà non avevo mai veramente smesso. È buffo che questa domanda sia stata negli ultimi cinque anni la più ricorrente nelle interviste che mi hanno fatto». Perché la scelta di questo nome, Atlantide?«Perché Atlantide appartiene a un immaginario senza tempo, e il suo mito riemerge periodicamente e alle più diverse latitudini. Ci piace molto l'idea di una emersione di libri, autori e tradizioni oltre il tempo e le mode culturali e editoriali. Del resto l'obiettivo più alto e il sogno di chiunque si trovi a immaginare una casa editrice è di scoprire e pubblicare libri destinati a rimanere oltre la singola esperienza di autore o editore».Una bella sfida, considerando la crisi dell'editoria italiana, il calo delle vendite, dei lettori, l'avvento dell'era digitale, il dilagare di internet, degli smartphone e di altre forme di intrattenimento apparentemente più vicine alle nuove generazioni.«Una sfida ambiziosa, ma l'unica per me che meriti oggi di essere intrapresa. Però personalmente io non credo che sia in crisi il libro in quanto tale, quanto un certo modello editoriale e commerciale che è durato almeno tre o quattro decine di anni e che ora è alla fine». Come vede la situazione dell'editoria nazionale, tra fusioni, acquisizioni e nascenti oligopoli, specie nella distribuzione? «La situazione dell'editoria nazionale mi sembra destinata sempre di più alla produzione convulsa, all'inseguimento di mode e trend, al confezionamento di libri-format pensati per durare una stagione, quanto basta per avvicinarsi cioè agli obiettivi semestrali di fatturato. Da anni c'è una paura diffusa tra gli editori e in generale tra chi lavora nell'editoria, la paura di allontanare il lettore con opere difficili da comunicare, dunque difficilmente incastrabili in paragoni più o meno attraenti con i successi del momento, e perciò non immediatamente smerciabili. In questo modo, sbagliando, si è rinunciato alla costruzione o al rinnovamento di un catalogo, di un progetto editoriale, in favore della ricerca spesso casuale di quelli che si potrebbero chiamare instant bestseller o meglio, visti i numeri, instant seller. La verità è che gli editori perlopiù non hanno idea di chi siano i propri lettori. Pubblicano titoli come sparassero una serie di colpi alla cieca, nel mucchio, nella convinzione che qualcosa prenderanno comunque. E intanto il numero delle cartucce sparate aumenta vertiginosamente, così come le rese a seguire. In questo devo dire che non mi pare che le case editrici, tanto quelle grandi quanto quelle piccole, siano aiutate a cambiare rotta dai librai, spesso ancora più terrorizzati di loro. È chiaro che ci sono editori e librai, specialmente indipendenti, che non sono così, questa però è la situazione generale oggi».Ci parli del vostro programma editoriale. «I primi libri sono appena usciti. Pubblicheremo dieci titoli all'anno. L'ambizione è di contribuire a creare un nuovo e diverso modello editoriale e culturale, tanto nel modo di raggiungere i lettori che nella varietà e bellezza delle opere pubblicate. Ogni scelta sarà sorprendente e, almeno per noi, necessaria. È per questo che abbiamo esordito con Filosofi Antichi, un saggio di storia della filosofia di uno dei più affascinanti e sconosciuti pensatori italiani del primo Novecento, Adriano Tilgher, filosofo originale e inquieto, che scoprì Pirandello e si inimicò sia Croce che Gentile. Quindi con quello che a mio giudizio è uno dei romanzi più belli e dimenticati del Novecento americano, Ritratto di Jennie di Robert Nathan, amato da scrittori diversissimi tra di loro come F. Scott Fitzgerald e Ray Bradbury. E infine con una magnifica graphic novel ante litteram, Tomaso di Vittorio Accornero, artista e illustratore, autore tra l'altro per Fendi del celebre foulard Flora indossato da Grace Kelly».Il suo progetto include solo libri di carta o anche libri digitali, prodotti affini? «Soltanto libri di carta. Spero in futuro che produrremo anche musica in vinile. Vedremo». Una casa editrice che nasce, di solito nasce piccola. Ma il sogno di molti è diventare grandi: è anche il suo? «Dipende cosa si intende per diventare grandi. Di certo non vedo Atlantide come un progetto di nicchia neppure ora». Come vede l'editoria del futuro prossimo?«La vedo sempre più distinta su due o più livelli.

Un mainstream sempre più conglomeratizzato e accanto, con margini di libertà e mercato via via più ampi in prospettiva, un'editoria di progetto, che riprenderà a fare ricerca, a rischiare, a perlustrare territori nuovi e allo stesso tempo recuperare tradizioni letterarie e autori ingiustamente dimenticati. Non sarà un processo agevole forse, ma di certo sarà stimolante, anzi esaltante».

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