Pochi amano veramente, e questi pochi non hanno nemmeno bisogno di troppe parole, per dirlo. Basta avere la penna (e il cuore...) di Emily Dickinson, una che usava sempre le parole scritte con molta parsimonia, e non soltanto le parole: la grande reclusa di Amherst, Massachusetts, era parca di relazioni, di feste, di eventi, di quella che si definisce «vita sociale», tanto quanto era intensa in ciò che nascondeva al mondo. Sé stessa. Emily Dickinson (1830-1886), come la poesia stessa, amava svelarsi nei suoi versi, scritti quasi clandestinamente ovunque, su foglietti, buste, ricette, e poi raccolti e cuciti insieme, con pazienza, anno dopo anno, come gli elementi del suo erbario: pezzettini che, poco alla volta, andavano a ricomporre la realtà, della natura e dell'anima, che Emily scandagliava con il suo microscopio interiore (non solo orecchio e occhio, lei aveva proprio un microscopio...).
La realtà è al centro del suo interesse e della sua poesia, la realtà che, apparentemente esclusa dal modo di vivere che si era scelto, è invece tutto: «Nessun sogno è paragonabile alla realtà, perché la realtà è essa stessa un sogno da cui solo una parte dell'umanità si è risvegliata» scrive in una lettera a Susan Gilbert Dickinson, uno degli «aforismi in versi e in prosa» selezionati e tradotti da Silvio Raffo, che in Italia è «l'autorità» per quanto riguarda la poetessa americana (è anche il traduttore del Meridiano Mondadori a lei dedicato), per la raccolta Pochi amano veramente, appena pubblicata dall'editore De Piante nella nuova collana «I solidi» (pagg. 130, euro 14). A proposito della quale, bisogna dire subito due cose: primo, il colore fucsia della copertina è meraviglioso, intenso come la passione e come certi fiori di primavera, le primule, o le azalee, che forse Emily annusava e ammirava nel suo giardino; secondo, si può parlare di «aforismi in versi»? Certamente sì, soprattutto se i versi sono quelli di Emily Dickinson, brevi, concisi, densi come un aforisma e, certo, anche carichi di una tensione dell'anima che il motto arguto di solito non possiede ma, anche, di una ironia inarrivabile, proprio perché umanissima, una ironia che non crea distanza bensì avvicina, agli uomini e alle cose.
Ed è quindi, sempre, la realtà che si impone e viene esaltata dalla forma - dagli «aforismi in versi e in prosa» - la quale è tutto tranne che astratta, anzi, è un «concentrato di realtà» si potrebbe dire, in termini culinari... Scrive Raffo: «Con una concretezza che letterariamente parlando è l'esatto contrario del realismo, Emily Dickinson restituisce, o meglio fa riacquistare a ogni singolo oggetto la sua dignità ontologica, e appunto immortale». Il fatto è che nella realtà c'è un segreto, che Emily conosce: «Dovrebbe sempre stare socchiusa l'Anima/ Per non far restare in attesa/ il Cielo quando viene a farle visita...». Nella realtà c'è il Cielo e, quindi, dobbiamo sempre essere pronti a riconoscerlo - o almeno, Emily Dickinson era in grado di farlo. E missione della parola poetica è raccontare questo incontro, non i suoi contorni sbiaditi: «Esito sulle parole da scegliere, perché posso sceglierne solo poche ed ognuna dev'essere la più essenziale...».
In mezzo a una pandemia in cui tutti viviamo da reclusi, e in cui le parole si sprecano, soprattutto quelle inessenziali e vuote, la «reclusa» per scelta - ma calatissima
nella realtà concreta - Emily Dickinson, con la sua parola «vera», che cosa ci manda a dire? Moltissimo, già solo con la sua esistenza e la sua opera. E poi con la sua arte: «Amiamoci meglio - forse è l'unica cosa da fare».
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