Il poliziesco in salsa cinese (Blind Detective di Johnnie To), giapponese (Shield of Straw di Takashi Miike) e americana (ma con «cuoco» francese, Blood Ties, di Guillaume Canet) ha fatto ieri il pieno al Festival, dentro e fuori la competizione ufficiale. Il più brutto si è rivelato il secondo, l'unico in gara; il più deludente il terzo; il più (piacevolmente) irritante il primo.
Cominciamo da quest'ultimo. Chi conosce Johnnie To, sa quello che lo aspetta, o lo ama o lo odia. Però, anche chi gli vuole bene, dovrebbe consigliargli di non esagerare. Blind Detective mette in scena un investigatore cieco, dal metodo induttivo alla Sherlock Holmes, bon vivant e charmeur. Ha perso la vista in servizio, vive risolvendo i casi che la polizia non ha saputo chiudere e intascando la ricompensa prevista dalle autorità. Una giovane poliziotta, atletica, ma poco portata a far lavorare la testa, e che lo giudica un mito, chiede il suo aiuto per ritrovare un'amica d'infanzia scomparsa. Nel corso dell'indagine, il dottor Johnston, questo il nome, assicurerà alla giustizia anche altri assassini... Il tutto, fra scoppi d'ira, lezioni di tango, mangiate e bevute pantagrueliche, inseguimenti e ammazzamenti: a colpi di pistola, coltello, martello, acido...
Come nella maggioranza dei suoi film (25 in un quarto di secolo di attività), To mischia i generi e gli stili, pigia l'acceleratore sul grottesco e il pulp, non disdegna il melodramma. Andy Lou, l'attore principale, riesce nell'impresa di essere credibile anche nell'incredibile, l'olfatto che sostituisce la vista, il ragionamento e l'immaginazione che hanno il sopravvento sull'indagine tradizionale, ma l'insieme a volte traballa e non si sa bene che cosa si stia vedendo: un thriller, un horror, un film comico. Si dirà, è la sua cifra stilistica, ma qui si ha l'impressione che la salsa non si sia bene amalgamata e ci siano troppi grumi.
Shield of Straw, Corazza di paglia, parte bene, per poi deragliare inesorabilmente. C'è un pedofilo assassino che deve essere condotto in tribunale per il processo; il nonno della sua ultima vittima, un super-miliardario, che ha promesso un miliardo a chi lo ammazzerà; una scorta scelta di poliziotti che si ritrovano alla prese con migliaia di aspiranti sicari e insieme semplici cittadini, forze dell'ordine comprese, vogliosi di intascare la taglia e liberare comunque l'umanità da una fetida carogna...
Il viaggio, prima in furgone blindato, poi in treno, poi in taxi, si rivelerà un'ecatombe, ma il poliziotto alla guida del piccolo drappello è deciso a difendere il suo assassino-prigioniero perché con esso difende la legalità e dice no alla giustizia sommaria. Fra incongruenze, retorica e effetti speciali, Shieldl of Straw è un modesto poliziesco di serie B, nonostante il dispiego di uomini e mezzi.
Blood Ties, l'ultimo della terna, aveva sulla carta tutti gli elementi per appassionare. Il suo regista è il talentuoso Guillaume Canet, attore e regista francese (Piccole bugie fra amici è il suo ultimo successo), Clive Owen, Marion Cotillard, Billy Crudup e James Caan compongono il cast, il film è un remake di Liens du sang, che quattro anni fa vide lo stesso Canert fra i protagonisti. Racconta la storia di due fratelli nemici, uno delinquente, l'altro poliziotto. Girato negli Stati Uniti, l'impressione è che il regista non abbia compreso la differenza fra un omaggio al cinema Usa anni Settanta e la sua caricatura. Tutto sa di cliché, sottolineato come se il pubblico fosse composto di ritardati mentali, ridondante nelle musiche, nel gergo, nell'azione. Gli attori si danno da fare come possono, ma la Cotillard sembra Sue Ellen e si ha sempre l'impressione che qualcuno debba gridare stop e dire: «ragazzi, abbiamo scherzato».
Disponendo di un budget di tutto rispetto, è come se Carnet non abbia voluto farsi mancare niente, ma è anche vero che l'originale francese di Maillol era una storia di piccola malavita di provincia e averne voluto fare un qualcosa fra Mean Street e Il Padrino era troppo per le sue fragili spalle.
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