Così a bruciapelo. Fabri Fibra cattivo. Cattivissimo. L'altra notte all'una con un tweet ha annunciato l'uscita (prima soltanto su iTunes con tre brani che tra una settimana non saranno pubblicati nel formato fisico) del nuovo disco Squallor . Niente promozione. Nessun evento. Per la prima volta in Italia un artista top evita la sarabanda di marketing, quella che da decenni precede un disco, e lo pubblica senza avvisare. Pum. Uno schiaffo di rara violenza sonora e verbale. A inaugurare la moda del disco a sorpresa è stato due anni fa David Bowie, poi a stretto giro Beyoncé e Robin Thicke, tutti arrivati sul mercato all'improvviso quasi a dimostrare che, nell'epoca della condivisione globale, la promozione più efficace forse è il silenzio assoluto. Specialmente se poi a parlare sono i versi, le rime, l'atmosfera di un album che è profondamente rap, niente pop, ma proprio nulla, manco un po'. Dopo Guerra e pace del 2013, lievemente più arioso, Fabri Fibra torna a fare ciò che gli viene meglio: il rap duro e puro. Senza sconti.
È Fibra a parte.
Nelle ventun canzoni dell'edizione in vendita su iTunes, il ritmo è lento, spesso strascicato, mai ridondante o ultraprodotto. Disco nevralgico. Il centro sono le parole. E i titoli. A iniziare dal primo, Troie in Porsche , che scorrazza tra coca e sesso e black jack, per arrivare alla conclusione, appena un po' esagerata, che «Milano è un cesso» e che «là fuori è soltanto una corsa al successo, tutti gareggiano, tutti danno il peggio, è una mega parcheggio di troie in Porsche». Fabri Fibra, otto dischi, vocazione alla marginalità nonostante l'enorme popolarità, è ritornato alle origini, alla critica brutale di chi si accorge che «non basta un bel pezzo, se non lecchi il culo non sei nel circuito» e che «più cose capisco e meno mi appassiono, il disco lo vendo, prendo i soldi e scappo, mi sveglio e mi chiedo dove cazzo sono?» ( Amnesia ). Fin qui, onestamente, temi da integralismo rap di chi ha iniziato «a fare il rap quando ancora non era una moda, chiuso in camera pensavo il mondo mi odia» ( Rock that shit feat. Youssoupha) e adesso capisce che «il 99% della scena rap è finzione» ( Alieno ).
Ma, sbrigate le formalità di genere, Fabri Fibra dà il meglio quando prende la mira e alza il livello del suo dissing. Ad esempio in Come Vasco : «Stare in alberghi di lusso solo con gente che se la gode, con bottiglie che bevi, giornalisti ai miei piedi, chiacchiare un tasto e riempire uno stadio come Vasco». O in E tu ci convivi (featuring Gue' Pequeno dei Club Dogo) che usa Milano come metafora di tutto il paese: «La mia faccia è sfatta, la grande disfatta in Italia». E se Cosa avevi capito? è un riassunto a grandi linee, Il rap nel mio paese è il centro del disco: «Sono andato in tele, tutti dicevano belle rime, resta qui a condurre in qualche talent»; «Il rap è un viaggio e tu ci invidi perché sai che ti manca il coraggio»; «Non uso mai l'inglese, ora faccio un'eccezione, fuck Fedez». Poi da E.U.R.O (con Clementino) a Sento le sirene, Fibra non fa prigionieri, usando le metafore solo quando proprio non può farne a meno. Altrimenti non usa giri di parole. Come in Squallor : «Queste radio mi hanno un po' deluso, dicono bravo, divaga o sei escluso». O in Playboy (con Marracash) nella quale critica la sua casa discografica Universal che «ormai produce cani e porci». In poche parole, Squallor è un disco diretto, non ammicca mai ed è destinato a farsi molti nemici. Pieno Fibra style. Dopotutto, anche se ha registrato questi brani tra Milano, Parigi e Los Angeles come i veri big, Fabrizio Tarducci detto Fabri, 39 anni da Senigallia, ha deciso di rompere il tradizionale marchingegno del successo ed è tornato underground. La sua scommessa. Forse la più difficile.
E senza dubbio molto più rischiosa di quando, con Tradimento del 2006, provò a fare il percorso inverso, dalle cantine alla copertina di Panorama . Allora non aveva nulla da perdere. Oggi ha molto da dimostrare. E tutto il coraggio giusto per riuscirci.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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